di Adriano Sofri
La manifestazione cui la Fiom ha chiamato ieri a Roma in nome del
lavoro e dei diritti era la benvenuta. Le persone di sinistra –
scriviamolo senza preoccuparci di definirlo, “come se” lo sapessimo –
sono state raramente così tristi. La manifestazione è andata
coraggiosamente contro questo stato d’animo. E ha fatto incontrare
militanti e cittadini decisi a reagire. Il bravo Maurizio Landini ha
ceduto alla frase da comizio –«Siamo la parte migliore dell’Italia» –
troppo sentita e sfortunata: ma che fosse convenuta lì una parte buona
dell’Italia è certo, e non è poco. I commenti hanno riguardato di
preferenza chi non c’era. Si capisce, soprattutto rispetto al Pd: «Un Pd
che non sta in strada con la Fiom mentre sta al governo con
Berlusconi». C’era uno slogan antico, dell’estrema sinistra: «Il piccì,
non è qui, lecca il c… alla diccì». Il Pd, epigono mai abbastanza
rimescolato di ambedue, è al governo con un’altra cosa, e non ha creduto
che l’invito della Fiom fosse un’occasione per testimoniarsi di governo
e di lotta. Alla manifestazione si guardava anche per misurare
l’amalgama possibile di una nuova sinistra politica, cui il merito della
Fiom nella difesa dei diritti del lavoro offrisse un’occasione.
L’adesione di Sel, oltre che dei partiti e gruppi “comunisti”, e di
5stelle, indica un percorso affine a quello, in verità rocambolesco, che
ha portato in Grecia un’alleanza di incompatibili gruppettari
(stalinisti e trozkisti compresi!) a formare, in un giro brevissimo di
tempo, un partito, Syriza, capace di competere per la maggioranza.
Questo percorso non si è fatto riconoscere nella manifestazione di ieri,
né per il numero né per il modo della partecipazione. Attorno al nerbo
dei militanti Fiom, gli altri reparti di aderenti hanno tenuto la
propria fisionomia in un modo tradizionale, e cittadini e studenti non
davano nell’occhio. (In piccolo, un disegno del genere era rovinato
buffamente con la “Rivoluzione civica” di Ingroia).
Assente era anche la costellazione di iniziative e sensibilità che
pensa sì a una casa comune nuova per la sinistra ma punta su una
crescita per azioni concrete e locali, e diffida di partiti e partitini
esistenti, apparati e concorrenze. Una nuova sinistra organizzata a
partire dal ripudio irreversibile del Pd, è l’idea della maggior parte
dei movimenti cui abbiamo accennato – col suo corollario, che
l’elettorato del Pd sia l’acqua in cui gettare le reti. Se no, occorre
ancora interrogarsi sul Pd. Con pochissime eccezioni personali, il Pd
dei nomi noti si è tenuto alla larga dalla manifestazione di ieri, ma
anche la gente del Pd non si è fatta vedere. La ferita è troppo recente,
e poi a Roma c’è la campagna per il Comune: ma è probabile che amarezza
e sconforto prevalgano di gran lunga sulla decisione di trasferire
altrove fiducia e impegno, e forse perfino voti. I 5stelle, in
particolare, hanno avuto una parte troppo vistosa nel favorire la
conclusione di governo, per allettare la sinistra amareggiata. Sicché,
in un tal brulicare di offerte politiche più o meno improvvisate e
demagogiche, un ennesimo pretendente che prendesse la scena
rivolgendosi, piuttosto che ai serbatoi elettorali tradizionali e ora
mobili, all’enorme bacino astensionista, che facesse appello al voto dei
non votanti, potrebbe trovare ghiotto mercato.
Il contesto è cambiato, almeno formalmente. I muezzin dell’austerità
non sono più in auge. Se il governo cade presto, Letta e Alfano
torneranno alle case madri (matrigne). Se dura, può darsi che si
ritrovino alla fine nello stesso partito – come all’inizio. Si disse che
il Pd avrebbe tenuto, all’indomani delle elezioni, un interposto
congresso. Si è arrivati forse a una scissione per interposto governo.
Che il governo duri o no, non si tornerà a quel Pd. E’ uno scherzo la
spiegazione dei rispettivi alleati: c’era un’emergenza, siamo qui per
fare le cose indispensabili, poi torneremo ad affrontarci davanti agli
elettori. Non saranno più gli stessi. Il centrismo del Pd si è separato
dalla sinistra, di cui era fino a un’ora prima “vice”, divenendone la
guida. Enrico Letta era – sul serio – il miglior dirigente dell’Udc. C’è
un governo Pdl–(U)dc col sostegno quasi unanime del Pd, esterno, salvi
alcuni personaggi “prestati”. Non si tornerà, come dopo il Congresso di
Vienna, allo status quo ante e alle vecchie parrucche. Si sarà confuso
tutto. Compresa la separazione fra renziani e no, che era già stata
confusa, giustapponendo nuovi e vecchi a destra e sinistra. In questa
deriva dilazionata, una eventualità è la moltiplicazione di aspiranti
ad accaparrarsi un pezzetto del giocattolo rotto. Il grosso si
barcamenerà. Le ali si incontreranno qua e là, con Rodotà, con Barca,
con Vendola, con Cofferati e Landini, con Civati, coi giovani di Occupy
Pd renziani, bersaniani, grillini, e Veltroni e D’Alema. Nel frattempo
si farà il presidenzialismo o il semipresidenzialismo, cioè la stessa
cosa, in modo da assicurare a uno dei populismi in gara anche i pieni
poteri presidenziali. Può andare diversamente? Speriamo, certo. Le
denunce dell’inciucio, nel caso migliore acchiappano la coda della
questione.
Prendete il malinteso della responsabilità: il Pd è squartato fra il
compromesso scadente e il senso di responsabilità. Il senso di
responsabilità ne può uccidere più che l’amore per il compromesso
scadente. E’ successo con Monti. Pd e Pdl gli si consegnarono, poi il
Pdl ruppe il giocattolo e la gabbia, e impostò spudoratamente tutta la
sua campagna sull’attacco a Monti, l’Imu ecc.; il Pd non poté farlo, non
tanto perché preferisse l’accordo con Monti – mentre si alleava con Sel
– quanto perché si voleva responsabile, e perfino rispettoso del
galateo: era maleducato attaccare a testa bassa, benché Monti si stesse
immergendo nelle peggiori scelte personali. La lotta all’austerità, che
era la cifra della sinistra, diventò quella di Berlusconi, il quale era a
suo modo coerente, perché dell’austerità se ne era fregato prima per
irresponsabilità (i ristoranti erano pieni) e poi ne sventolò la
bandiera contro la Merkel e la speculazione finanziaria – cioè contro se
stesso.
Allo stesso modo, ora nel governo introvabile il Pd si vuole
responsabile, vuole il bene del paese, ha il suo vicesegretario a capo
del governo, mentre Berlusconi ha il vice al posto di vice, è
irresponsabile, dà ultimatum, tira la corda nell’attacco ai magistrati,
difende il soldo di oggi fregandosene del bilancio di domani, monta nei
sondaggi: se la corda si spezza, il Pd va col culo per terra, se resta
tesa, il Pd paga il pegno e Berlusconi fa la ruota. Chissà, si può, si
poteva liberarsi dal (falso) senso di responsabilità? Si poteva
constatare che il governo che si voleva fare non si poteva fare, e
tirarsi indietro e dire: Prego signori, fatelo voi, voi Pdl, voi 5
stelle, voi due partiti di un uomo solo, è vostra, la responsabilità? – e
poi vediamo i sondaggi? E ora, una costituente della sinistra del
lavoro fondato sul rispetto della salute, della dignità e dell’ambiente,
si può?
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