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Il Blog di Rifondazione Comunista di Assisi


giovedì 28 febbraio 2013

Non siamo morti


di Ramon Mantovani

Il Partito della Rifondazione Comunista, con i suoi difetti e con le ferite subite dalle innumerevoli scissioni, non è morto. Ed ha sempre dato prova di non pensare soprattutto a se stesso ed ai posti nelle istituzioni. È stato indubbiamente il più generoso in tutte le iniziative di lotta ed unitarie. Ha un gruppo dirigente che certamente non è il migliore del mondo, ma che ha saputo e voluto resistere a tutte le lusinghe e tentazioni a separare il proprio destino da quello dei militanti e delle classi subalterne, per trovarsi un posto sicuro nel centrosinistra. Ha militanti, donne ed uomini, il cui valore ed attaccamento ai principi ed ideali comunisti, si vede proprio oggi, nel massimo della difficoltà. 

Questo nostro partito ha imparato a resistere. Saprà imparare a ripensare se stesso come una parte indivisibile e incancellabile dentro una più vasta aggregazione di sinistra anticapitalista."


Siamo morti?
Lo stato d’animo non è dei migliori. Eppure bisogna cercare di essere lucidi. E di ragionare. 
Non partecipo all’orgia dei social network, sui quali si può leggere di tutto, tranne analisi serie e l’individuazione dei veri problemi del paese e della sinistra. 
So bene di andare completamente e sempre più controcorrente. 
Ma se alle analisi si sostituiscono spiegazioni superficiali e alle proposte gli slogan invece che capirci qualcosa si finisce per non capire più nulla. E invece di cercare la strada giusta si finisce in un labirinto. In questo modo non si sviluppa nessuna discussione utile. Con il battibecco, con gli scontri verbali, con gli insulti e le iperboli di tutti i tipi si distrugge tutto e si partecipa attivamente a fomentare i peggiori istinti che covano nella società. 
Detto questo, parliamo delle elezioni. Esaminando i dati della Camera senza voto estero e i 617 seggi attribuiti con il “porcellum”.
I votanti sono calati di 2 milioni 600 mila unità. 
Il centrosinistra ha perso 3 milioni e mezzo di voti. 
Il centrodestra 7 milioni e duecentomila. 
Sono quasi undici milioni di voti in meno ai due schieramenti maggiori. 
Il Movimento 5 Stelle ha avuto 8 milioni e 700 mila voti. 
Lo schieramento di centro (nel 2008 solo UDC con poco più di 2 milioni di voti) ha avuto 3 milioni e 600 mila voti. 
Ho appositamente omesso le percentuali perché, oltre ad essere conosciute, secondo me oscurano l’enormità degli spostamenti di voto che ci sono stati e falsano la percezione del significato politico del voto. 
Ora proviamo a guardare i risultati utilizzando un altro punto di vista. 
Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno avuto circa 22 milioni e mezzo di voti. Circa il 63 % sui votanti. Nel parlamento avevano più del 90 % dei seggi. 
Ora vediamo i seggi. 
Il centrosinistra con il 29,54 % dei voti prende 340 seggi pari al 54 % dei seggi totali. Il premio di maggioranza è del 24,5 %. Quasi un raddoppio dei seggi. 
Il centrodestra con il 29,18 % dei voti prende 124 seggi pari al 20 % dei seggi totali. Lo 0,35 % in meno determina una differenza in seggi di 216 unità. 
Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno avuto 454 seggi (senza SEL e Lega Nord) pari al 73 % dei seggi totali, contro il 63 % dei voti. 
SEL con il 3,2 % conquista 37 seggi. La Lega Nord con il 4,08 % conquista 18 seggi. Prende più voti di SEL ma metà deputati rispetto a SEL. 
L’UDC con l’1,78 % dei voti prende 8 seggi. Il Centro Democratico con il 0,49 % dei voti prende 6 seggi. Fratelli d’Italia con l’1,95 % dei voti prende 9 seggi. Rivoluzione Civile con il 2,25 % dei voti prende zero seggi.
Un deputato del PD vale 29603 voti. Uno di SEL 29444 voti. Uno del PDL 75594 voti. Uno del Movimento 5 Stelle 80455 voti. 
Prima di passare alle considerazioni politiche non si può non valutare il tasso di democraticità della legge elettorale. 
Si tratta di una legge altamente deformante la volontà popolare, che quindi partorisce un parlamento non rappresentativo. 
Credo basti leggere i dati che ho più sopra citato e che non sia necessario argomentare oltre per dimostrare la giustezza del mio giudizio. 
Intanto, però, questa legge è in vigore da molto tempo ed è la terza volta che viene applicata. 
Il sistema politico è stato trasformato da questa legge, i partiti si sono modellati su questa legge, gli elettori quando pensano a votare e a scegliere lo fanno sulla base dei meccanismi imposti dalla legge, i mass media ne amplificano tutti gli effetti più deleteri. Quella precedente era anche peggio. Non posso ora, per brevità, argomentare e dimostrare il perché. Come è di gran lunga peggiore quella degli enti locali, che è presidenzialista, ultramaggioritaria e inquinata dalle preferenze. 
Vorrei ricordare a tanti che in Italia il maggioritario è stato proposto da Segni, appoggiato dal PDS e dalla Lega (allora forza emergente), come soluzione del problema della corruzione e come “riavvicinamento” del sistema politico ai cittadini. Il risultato e sotto gli occhi di tutti. Più corruzione, partiti ultrapersonali (PD e SEL compresi), distanza abissale fra sistema politico e cittadinanza, talk show dieci volte più importanti del parlamento, e potrei continuare. 
Ovviamente non tutto quello che le ultime elezioni ci hanno messo sotto gli occhi è dovuto al sistema elettorale. Nei vent’anni di maggioritario tutti i diritti conquistati in decenni di lotte sono stati messi sotto attacco. Il lavoro è stato svalorizzato, il mercato finanziario è diventato il vero sovrano al quale i governi hanno obbedito, una generazione vive ormai ben peggio dei propri genitori, la guerra è diventata uno strumento ordinario della politica internazionale del paese e dell’occidente, l’istruzione e la sanità, oltre che l’acqua e gli altri servizi pubblici, sono stati potentemente privatizzati. Anche qui potrei continuare a lungo. 
Ma tutte queste modificazioni della realtà sociale sono state possibili attraverso le relative leggi, che anche quando hanno suscitato proteste, lotte e resistenze, sono state approvate dal parlamento maggioritario senza battere ciglio. Quando qualcuno si è opposto, tentando di dare voce alle lotte, è stato accusato di voler fare il gioco dell’avversario, ricattato, diviso e ridotto all’impotenza. I contenuti sono diventati un accessorio strumentale nella vera contesa che era l’alternanza fra centrodestra e centrosinistra, uniti dal feticcio della governabilità interna alle compatibilità imposte dal mercato. 
L’intreccio fra maggioritario e ristrutturazione sociale sulla base dei puri interessi capitalistici e finanziari è potentissimo. 
Oggi il sistema sociale e quello politico non reggono più, di fronte alle conseguenze della crisi. Ma la sinistra reale, al contrario di tutti gli altri paesi europei, si è presentata all’appuntamento logorata da venti anni di divisioni e ormai ridotta nei fatti, persino indipendentemente dalla sua stessa volontà, esattamente alle due varianti previste per essa dalla logica del maggioritario: quella interna al bipolarismo condannata a non influire minimamente sulla sostanza del governo, e quella testimoniale espulsa dalle istituzioni. 
Senza tenere conto di questo contesto, cui ho accennato finora, non si può capire la portata della sconfitta, e si finisce con lo scambiare gli effetti per le cause o, peggio ancora, per coltivare illusioni circa soluzioni miracolistiche dell’enorme problema con il quale ci si deve confrontare. 
Tenendo conto di questo contesto, invece, si può affrontare meglio anche la discussione circa le responsabilità soggettive delle forze politiche ed anche di quelle sociali, a cominciare da quelle dei sindacati e delle organizzazioni della società civile. 
Cosa ci dice il risultato elettorale? 
Ci dice tre cose:
1) il bipolarismo è morto. Ci sono 4 poli in parlamento. E nonostante il meccanismo maggioritario nessun governo è possibile senza un accordo post elettorale. Sono centrodestra e centrosinistra gli sconfitti e al loro interno le forze minori, come SEL, risultano irrilevanti. Il centro è cresciuto ma non a sufficienza per colmare l’esodo dei voti contrari alle politiche europee e di massacro sociale. 
2) un movimento indefinito sul piano ideologico ed ideale, con un programma vago e in molti punti contraddittorio, identificato con un leader predicatore, ha raccolto tutti i voti di protesta.
3) la sinistra reale è irrilevante nel senso pieno del termine. Non è “apparsa” irrilevante. Lo è. Nel senso che per quanto portatrice di contenuti giusti (in molti casi sovrapponibili e in altri parecchio più avanzati e progressisti rispetto al Movimento 5 Stelle), per quanto propositrice di misure serie contro la crisi e i responsabili della crisi, per quanto espressione e vicina a tutte le esperienze di lotta e sociali, nulla ha potuto né contro il “voto utile” né contro il voto di protesta.
Il bipolarismo è morto. Ma invece che prenderne atto sia il PD, sia il PDL, sia il centro, parlano dell’emergenza dell’ingovernabilità. Non so attraverso quali acrobazie, ma prevedo che il governo temporaneo che nascerà, oltre a tenere fede a tutti i diktat della tecnocrazia europea e della finanza, tenterà di “riformare” legge elettorale e istituzioni per garantire la “governabilità”, e cioè il governo dell’esistente con una possibile alternanza. 
Il Movimento 5 Stelle conterà esattamente su questo per gonfiarsi e trasformare la protesta in rappresentazione della volontà di cambiamento. Ma cambiamento in quale direzione? Se i tre poli, al netto di finte divisioni e competizioni, sono d’accordo sulla sostanza della politica economica e sono d’accordo sul principio di “governabilità” (non a caso di nuovo mantra dei mass media come nei primi anni 90), hanno una strada obbligata davanti a se. Del resto soprattutto PD e PDL, essendo partiti modellati sul maggioritario e sull’obiettivo di governo dell’esistente, possono cedere sui “privilegi” e i costi della politica, mentre non possono proporre una svolta democratica. Per esempio una legge elettorale proporzionale. Perfino se il PDL e il centro lo facessero troverebbero la fiera opposizione del PD. Mentre sui contenuti avanzati ogni strada gli sarebbe preclusa, sotto la voce privilegi e costi della politica il Movimento 5 Stelle potrebbe anche votare diversi provvedimenti, prendendosi il merito di aver obbligato la “casta” ad ingoiarli. Ma sarebbero in gran parte la realizzazione del sogno estremista liberale. Per fare un solo esempio, eliminazione del finanziamento pubblico e delle strutture di partito (e così, come negli USA, l’elaborazione dei progetti politici e di legge sarebbero appannaggio delle lobbies dei poteri forti). Mentre sulla legge elettorale il Movimento 5 Stelle non ha alcuna posizione. Tranne quella dell’apologia delle preferenze. Non è dato sapere se sia maggioritario o proporzionalista. Se voglia un sistema presidenzialista o meno. Se pensi che la funzione del parlamento debba essere di mero controllo del governo o di effettivo potere legislativo. 
Cosa direbbe e soprattutto cosa farebbe se PD e PDL trovassero un accordo su un sistema elettorale maggioritario a doppio turno e su un sistema istituzionale presidenzialista? Stando al programma ufficiale del Movimento 5 Stelle potrebbero votare tranquillamente a favore, ottenendo che i parlamentari non facciano più di due mandati, che non possano svolgere nessuna altra attività e che non abbiano gli attuali residui privilegi. 
È una “previsione” puramente astratta. Ma è plausibile stando al programma ed anche alle numerose esternazioni di Grillo, che mentre ha urlato contro la casta e i partiti ha sempre evitato accuratamente di definirsi su una quisquiglia come la legge elettorale e la forma dello stato. 
Comunque non è il momento di esercitarsi a fare previsioni e ad indovinare i contorsionismi della politica spettacolo. 
Ripeto che solo in Italia la sinistra che condivide il 95 % dei contenuti si presenta divisa alle elezioni. Li condivide sulla crisi e sulle cause e responsabilità della stessa, sulle proposte per uscirne, sul fiscal compact, sul pareggio di bilancio in costituzione, sul lavoro e sulla piattaforma della FIOM, sulla precarietà, sul reddito di cittadinanza, sui beni comuni da sottrarre ai privati, sulla scuola e sanità pubblica, sui diritti civili, sui diritti degli immigrati e così via. Non credo di esagerare. È così. 
Gli elettori di sinistra oggi sono divisi fra SEL, Rivoluzione Civile, e Movimento 5 Stelle. In quest’ultimo sono una parte, purtroppo credo non maggioritaria, perché si può essere contro la casta anche da destra, contro l’euro e contemporaneamente contro gli immigrati, e così via. Ma non c’è alcun dubbio che tantissimi elettori di sinistra abbiano votato il Movimento 5 Stelle, con le più svariate motivazioni, spesso contraddittorie fra loro. 
In altri paesi europei a sinistra ci sono partiti comunisti, coalizioni comprendenti partiti comunisti e non, partiti di sinistra, movimenti comprendenti più partiti. Insomma, si possono trovare tutte le formule organizzative unitarie e i modelli di partito. Nella crisi crescono considerevolmente fino ad esprimere, proprio dove la crisi è più acuta, la possibile alternativa di governo. Come in Grecia. 
Davvero si può considerare seria una discussione, che già vedo profilarsi come al solito, che mette al centro le formule organizzative unitarie? Come se SEL e Rivoluzione Civile fossero divise dalla concezione organizzativa dell’unità e non, invece, dalla logica bipolarista? Davvero è una questione di efficacia del leader in TV? Davvero se cambiassimo tutti i dirigenti e li sostituissimo con giovani risolveremmo i problemi? Davvero se ogni forza pensasse di distinguersi maggiormente dalle altre, con conseguente proliferare di ancor più liste, una di queste potrebbe aspirare a vincere la battaglia egemonica e ad unificare tutto ingrandendo se stessa?
Cosa ci impedisce di fare come Izquierda Unida? O come il Front de Gauche? O come la Linke? O come Syriza? Trovando anche in Italia la formula organizzativa democratica adatta ad unire e non a dividere? Cosa ce lo impedisce? 
Purtroppo la risposta è duplice: ci sono due cose che ci hanno fino ad ora diviso irrimediabilmente.
La prima è il maggioritario e le due tendenze figlie del bipolarismo: dentro il centrosinistra a non contare nulla e apparendo agli occhi di buona parte della nostra gente come opportunisti, oppure fuori senza speranza di incidere su nulla e per giunta con il sospetto della nostra gente che l’unico obiettivo vero siano i posti. 
La seconda è l’internità di tutta la sinistra, comunque collocata rispetto al centrosinistra, nel sistema politico separato dalla società. 
Con la prima risposta si spiegano gli insuccessi di SEL e Rivoluzione Civile. Con la seconda il voto di gran parte della nostra gente al Movimento 5 Stelle. 
Se tutto ciò è anche solo parzialmente vero, e se vogliamo lavorare affinché in Italia ci sia una sinistra che torni a contare nella società e quindi anche elettoralmente, si deve tener conto di entrambe le risposte insieme. Perché altrimenti la soluzione è totalmente sbagliata ed inefficace. 
Si può, in presenza della crisi del bipolarismo, unire sui contenuti e sulla democrazia, ed essere alternativi al sistema politico separato, nel tempo nel quale anche l’alternatività del Movimento 5 Stelle sarà messa alla prova dei fatti. 
Il Partito della Rifondazione Comunista, con i suoi difetti e con le ferite subite dalle innumerevoli scissioni, non è morto. Ed ha sempre dato prova di non pensare soprattutto a se stesso ed ai posti nelle istituzioni. È stato indubbiamente il più generoso in tutte le iniziative di lotta ed unitarie. Ha un gruppo dirigente che certamente non è il migliore del mondo, ma che ha saputo e voluto resistere a tutte le lusinghe e tentazioni a separare il proprio destino da quello dei militanti e delle classi subalterne, per trovarsi un posto sicuro nel centrosinistra. Ha militanti, donne ed uomini, il cui valore ed attaccamento ai principi ed ideali comunisti, si vede proprio oggi, nel massimo della difficoltà. 
Questo nostro partito ha imparato a resistere. Saprà imparare a ripensare se stesso come una parte indivisibile e incancellabile dentro una più vasta aggregazione di sinistra anticapitalista.

Il voto, Grillo, e la Sinistra


di Gianmarco Pisa, PRC Napoli 

In fondo, il risultato delle elezioni politiche di Febbraio è chiaro nella sua eloquenza. Ed anche nella sua verità. Il Partito Democratico, accreditato alla vigilia di un 32% e di una maggioranza sicura alla Camera e conseguibile al Senato, crolla al 25%, per effetto di una campagna mediocre, in grado di “tenere” il voto di base ma non “sfondare” presso il voto di opinione, fiacca e per nulla mobilitante.
Il Popolo della Libertà, dato solo tre mesi fa per spacciato, risale oltre il 21% e consegna alla coalizione di centro-destra un quasi pareggio col centro-sinistra, grazie all’ampiezza della sua coalizione e alla capacità di trascinamento della sua leadership, capace di ricompattare quelle pulsioni reazionarie di massa all’insegna delle quali si ê svolta buona parte della “fu” Seconda Repubblica. Il vero successo arride a Grillo, forte di un risultato significativo presso insediamenti sociali i più diversi, solido nella  sua  tenuta  elettorale  soprattutto  nelle  città  e  nei  luoghi  simbolo  della  protesta  popolare, attestato ben oltre quella soglia del 25% che fa del Movimento 5 Stelle il primo partito alla Camera.
Per la Sinistra, insomma, è stata una debacle. Immiserita ad un 2,2% alla Camera e ad un 1,8% al Senato, deve fare i conti sia con l’effetto della campagna del “voto utile” (al quale capitola circa il 20% del suo stesso elettorato), sia con la residualità del suo radicamento sociale e territoriale, come dimostra il risultato assai poco lusinghiero sia presso le realtà del conflitto sociale sia nelle città metropolitane che avrebbero dovuto costituire una delle basi del suo insediamento elettorale. Gli errori commessi si pagano tutti: l’incertezza del messaggio (attaccare un presunto “bersanismo” e ricordare ogni volta gli spasmodici tentativi fatti per stringere alleanze con la coalizione bersaniana); l’insistenza su temi poco incisivi nelle condizioni materiali (la legalità e l’anti-mafia piuttosto che il progetto industriale e i temi sociali a partire dall’art. 8 e dall’art. 18); l’insufficiente valorizzazione di candidature autorevoli a sostegno di campagne rilevanti (e il conseguente imbarazzo di dover ogni volta precisare il “destino” di Antonio Ingroia, fino all’ultimo incerto della sua stessa candidatura e ogni volta sospeso a mezzo tra l’Italia e il Guatemala, tra il Parlamento e la Procura della Repubblica).
Si  tratta  di  un  risultato  epocale  nella  sua  gravità  e  che  impone  una  risposta  almeno  altrettanto convincente rispetto all’altezza della sfida. Non serve appellarsi all’oscuramento mediatico o alle defezioni dei movimenti. Non basta rifugiarsi nella comoda metafora dell’ultima spiaggia: una debacle era già stata subita nel 2008, con la Sinistra fuori dal Parlamento, ed era “questa” campagna elettorale l’ultima spiaggia. Un vero e proprio banco di prova che da un lato consegna al Movimento 5 Stelle le parole non dette con sufficiente forza dal Movimento Arancione e da Rivoluzione Civile, e dall’altro espelle i comunisti e la Sinistra dal campo del dibattito politico di livello nazionale. Il Movimento  5  Stelle  esprime  la  protesta  generale  ed  avanza  delle  proposte  non  organiche,  non propone un programma di sistema, non si candida né al governo né all’opposizione, ma a fare da “controllore” del sistema, prende voti indifferentemente dalla Lega in Veneto e dagli Arancioni in Sicilia, si dichiara, cosa tipicamente di destra, “né di destra né di sinistra”, raccoglie l’appello al voto dai CARC e apre le porte delle sue liste al peggior fascismo (eversivo e violento) targato Casa Pound.
Non può essere la costellazione di mere proposte di “radicalismo civico” a rappresentare l’alternativa di società e di sistema per la quale si battono i comunisti e la Sinistra degna di questo nome. Per ciò è necessario rifondare questa Sinistra. A partire da un Congresso straordinario della sua formazione più strutturata, Rifondazione Comunista: un Congresso  (aperto) alla partecipazione di tutti per un voto (libero) degli iscritti che definisca non solo una linea nuova ma anche un programma nuovo, di alternativa, di socializzazione e di transizione. Passando per la ri-organizzazione delle sue strutture, liberando risorse dell’apparato e mettendole al servizio dell’iniziativa, territorio per territorio, costruendo luoghi fisici e virtuali organizzati, funzionali e mobilitanti. Per finire con l’esplicita rivendicazione e la conseguente  articolazione in  termini  di contenuto,  programma  e  messaggio  delle  discriminanti:  anti-capitalismo, anti-imperialismo, anti-fascismo, anti-razzismo, anti-sessismo. Con un solo e una miriade di obiettivi: il socialismo e tutto quanto necessario e adeguato alla costruzione di un “socialismo del XXI secolo”. La cronaca è piena di dimostrazioni della debolezza dei 5 Stelle su questi versanti. Ma  la debolezza, a confronto con una debolezza ancor più grave, rischia facilmente di diventare una forza.

Cosa farà il M5S in Parlamento?


di Fabrizio Leone


Come si comporteranno i grillini in Parlamento? Questa è la domanda più gettonata del post voto. Le loro scelte infatti potrebbero far pendere la bilancia a favore della maggioranza o dell’opposizione, ma considerando le parole di Grillo e l’eterogeneo programma del movimento, ogni previsione del futuro diventa ancora più incerta del solito.
Primo partito sia alla Camera che al Senato. Il Movimento 5 stelle è sicuramente l’unica formazione che esce sorridente dalle urne essendo andata ben oltre le previsioni più ottimistiche. Il dato che circa 1 Italiano su 4 oltre i 25 anni e circa 1 giovane su 2 sotto quest’età abbiano votato per il movimento fondato da Beppe Grillo è infatti sicuramente il dato più significativo di queste elezioni. In molti si sono pronunciati sui motivi del trionfo: c’è chi parla di superamento dei vecchi schemi destra-sinistra, chi individua nel risultato elettorale l’insofferenza di molte persone alla politica consolidata e oligarchica e chi infine insinua che il successo di Grillo sia dovuto agli appoggi di cui egli godrebbe grazie alla potenza di Gianroberto Casaleggio. Lasciamo credere al lettore quel che più preferisce, ma ciò su cui tutti dovrebbero convergere è l’improvviso rispetto e riconoscimento arrivato al M5S dopo i risultati definitivi. I 109 seggi della Camera e i 54 del Senato, infatti, fanno gola sia alla destra che alla sinistra che sperano di riuscire a trascinare dalla loro parte un movimento che non si autoidentifica né nell’una e nemmeno nell’altra.

Ma se in casa Pdl ancora non è arrivata nessuna offerta di collaborazione ai grillini, ieri il segretario Bersani ha timidamente aperto la porta ai parlamentari del movimento. La ritrosia palesata ma non dichiarata del segretario Pd è che il Movimento, seppur non maggioritario a livello assoluto, lo possa diventare a livello pragmatico ricattando la futura maggioranza con la minaccia di non votare la fiducia e aprire crisi di governo. Quel che infatti ripetono tutti gli esponenti del movimento, Grillo compreso, è che il loro lavoro verrà calibrato in modo differente a seconda delle tematiche : decideranno cioè di volta in volta se appoggiare le proposte della maggioranza oppure no. A dire il vero un’alleanza del genere tra Pd e M5S già esiste in Sicilia, dove Crocetta viene appoggiato o meno a seconda dei casi. In questo modo il gioco di non dichiararsi né di destra né di sinistra viene fuori in tutta la sua potenza. Non dovendo infatti render conto a nessun super-io politico, il Movimento 5 Stelle non avrà alcun problema ad appoggiare di volta in volta temi provenienti da sinistra o da destra. Questo significa che il vero potere decisionale, se lo sapranno usare, risiederà ben saldo nelle mani di deputati e senatori eletti nel movimento di Grillo.
Nel frattempo molte eminenze grigie continuano a sostenere Grillo e i suoi. Da Marco Travaglio che li ha votati al Senato (n.d.r. alla Camera ha sostenuto di aver votato per Rivoluzione Civile) a Dario Fo che è stato designato da Grillo come prossimo Presidente della Repubblica, sono in molti ad aver spezzato una lancia in favore della novità politica del momento. Proprio il premio Nobel Dario Fo pare che abbia spinto Grillo ad aprire al Pd per garantire stabilità al Paese. Ciò che però manca nel Movimento 5 stelle è il passo indietro annunciato da Grillo dopo il voto. L’ex comico, non candidabile in Parlamento in quanto condannato in via definitiva per omicidio colposo plurimo nel 1988, ha infatti più volte affermato che avrebbe lasciato la guida del Movimento ai militanti senza interferire con il loro operato per tornare a fare il comico. Tuttavia tutti guardano a lui come principale referente del M5S ed egli stesso ha annunciato che dirà a Napolitano di “non esser disposto a inciuci con Pd e Pdl”, come se il leader ufficiale fosse lui. L’auspicio generale è che un movimento foriero di tante novità non sottostia da subito a meccanismi baronali arcinoti. Sarebbe infatti almeno il secondo caso di incoerenza per Grillo che, dopo l’aver attribuito durante un’intervista concessa a Class Cnbc il suo programma economico al premio Nobel per l’economia Stiglitz, è stato seccamente smentito dalla moglie del famoso economista neokeynesiano  che ha dichiarato “gli scritti di mio marito sono tutti online e fruibili dal pubblico, ma dubito che egli abbia mai anche solo menzionato il Movimento 5 Stelle”. Non proprio una bella figura per chi fa dell’onestà, della meritocrazia e del rinnovamento le sue stelle polari.

Le alternative del dopo voto


di Alfonso Gianni 
Dopo il non esito del voto di domenica e lunedì, si pongono diverse alternative cui bisognerebbe rispondere in modo netto.
La prima. I mitici e famigerati mercati non hanno gradito. La Borsa di Milano chiude con meno quattro, ma anche le altre capitali europee viaggiano con il segno meno. E’ tutta l’Europa che traballa, e non potrebbe essere diverso date le premesse. Contrariamente al leit motiv di Bersani, noi non siamo la Grecia quanto a impatto sullo scenario europeo. Lo spread rimbalza a 340, 50 punti in più, pari ad un aggravio di costo per lo Stato di circa 1,5 mld su base annua. Il quadro macroeconomico non è buono, ma pensare che esso sia solo il frutto della instabilità politica italiana significa vivere in un mondo virtuale e non avere mai capito le dinamiche di fondo di questa crisi economica epocale.


Quindi o si dà retta ai mercati o si dà retta alla esigenza di democrazia. Questa è la prima scelta da fare. Se si dovesse scegliere la prima strada, si andrebbe incontro a soluzioni che tutte più o meno portano a grandi coalizioni e alla rimessa in campo della destra di Berlusconi, visto che i numeri al Senato mandano in fumo l’ipotesi su cui il centrosinistra si era fin qui basato in caso di insufficienza – al di là delle punture di spillo in campagna elettorale – ovvero l’alleanza con Monti. Nello stesso tempo appare del tutto improbabile un’alleanza organica con i grillini, sia perché questi non la vogliono, sia perché avendo il centrosinistra, Sel per prima, basata buona parte della campagna elettorale contro il pericolo del populismo apparirebbe una conversione troppo repentina e strumentale. Né siamo ai tempi di Andreotti in cui si poteva concepire un “governo allo sbando”, ovvero un Esecutivo che trova la maggioranza in Parlamento sui singoli provvedimenti.
Se si dà retta alla esigenza di democrazia, si apre una seconda alternativa. Il presidente Napolitano non può sciogliere le camere perché a fine mandato. Lo aveva potuto fare prima, con un breve anticipo, perché il suo semestre “bianco” coincideva con la scadenza naturale della legislatura. In ogni caso bisogna passare attraverso la elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, nonché, ovviamente, dall’elezione dei Presidenti delle Camere. A meno che Napolitano non voglia dimettersi prima, ma non mi pare sia nelle sue corde. E’ quindi naturale che un incarico di governo venga dato. Presumibilmente a Bersani, come capo della coalizione “vincente”.
Se si mette al primo posto la tenuta del nostro sistema democratico, anzi la sua rinascita – perché di questo si tratta – non si può che pensare a un Esecutivo che abbia come unico compito garantire che il Parlamento giunga al più presto ad una nuova legge elettorale per passare al voto. Successivamente sarà il caso di pensare almeno a una riforma costituzionale che opti per il monocameralismo, poiché il bicameralismo perfetto ha dato pessime prove di sé e visto anche che, per colpa non solo del Porcellum, è già la terza volta che le discordanze tra esiti elettorali tra Camera e Senato mettono in discussione il senso del voto complessivo. Il che porterebbe anche a una riduzione del numero dei parlamentari, obiettivo da non trascurare, visto che la loro quantità non ha dato alcuna prova di buon funzionamento delle istituzioni e di maggiore avvedutezza legislativa.
Ma la scelta della legge elettorale non è innocente. E questa è la terza alternativa. Il non esito delle urne ci consegna un quadro nel quale tende a diventare prevalente un atteggiamento antisistemico da parte dell’elettorato. Se sommiamo l’astensione sensibilmente cresciuta non per colpa del tempo atmosferico (infatti per le regionali è diverso) con i voti di Grillo, cui possiamo anche aggiungere buona parte dei pochi voti giunti a Rivoluzione Civile (ma anche molte preferenze per Sel hanno in realtà queste caratteristiche) constatiamo un’insorgenza contro il quadro e il sistema politico-istituzionale nel suo insieme. Puntare sulla governabilità a scapito della rappresentanza sarebbe il suicidio definitivo, significherebbe stendere un tappeto rosso all’ingresso in scena di un nuovo uomo forte (e purtroppo non sarebbe un De Gaulle, ma un ibrido tra figure impresentabili come quelle che già abbiamo conosciuto). La nuova legge elettorale non può quindi che essere essenzialmente proporzionale, per restituire ai cittadini innanzitutto il diritto a vedere rappresentate nelle istituzioni le proprie opinioni politiche.
Infine vi è una quarta alternativa, che ci riguarda direttamente. Per la seconda volta nel Parlamento non vi è alcuna forza di sinistra presente come tale. Al contrario di altri paesi d’Europa ove le forze di sinistra d’alternativa stanno riprendendo fiato e possono, come in Grecia, aspirare ad essere considerate il primo partito. L’Italia appare dunque un’anomalia negativa. Il caso italiano è totalmente rovesciato. Nel momento in cui persino Anthony Giddens scarica il blairismo e dichiara che non è sopprimibile il clivage tra destra e sinistra, c’è chi, anche in Rivoluzione Civile, dichiara morta la distinzione fra destra e sinistra. Eppure chi fa un minimo di attività sociale la gente di sinistra la incontra ogni giorno e ovunque. Vi è una sinistra diffusa che ogni volta che è chiamata a scegliere su politiche concrete – come accade nei referendum o nelle grandi lotte di massa su obiettivi economici-sociali, cioè civili, come la questione della Tav o degli assetti urbani – si manifesta con vivacità ed efficacia.
Il senso della discriminate fra destra e sinistra è ben presente a livello popolare. Ciò che viene completamente revocato in dubbio è la presunta rappresentanza attuale della sinistra. L’esito sia di Rivoluzione Civile che, per altri versi, di Sel, che ottiene molti parlamentari in virtù del Porcellum, ma vede abbassarsi ancora la già scarsa percentuale di voti, non può trovare scusanti, come nelle dichiarazioni dei leader nella serata di lunedì, nelle difficoltà e nell’improvvisazione della campagna elettorale, nella cattiveria altrui o nel ricatto del voto utile. E’ necessario che le vecchie forme organizzative della sinistra radicale si sciolgano in una comune ricerca ideale, programmatica e organizzativa che si ponga il compito di rappresentare effettivamente il bisogno di sinistra che nel paese è tutt’ora vivo. Quell’atto di realismo e umiltà che è mancato ancora una volta nella formazione delle liste, deve imporsi ora di fronte a un risultato inequivocabile e impietoso.

"Solo unificandoci possiamo superare la crisi di credibilità".


di Domenico Moro

Questa è la seconda volta che andiamo al tappeto e per la seconda volta bisognerà provare a rialzarsi. Come nel pugilato, solo chi è veramente determinato riesce a farlo. Tuttavia, rialzarsi per continuare a incassare pugni come un pugile suonato sarebbe assurdo. Quando si va al tappeto non ci si rialza subito, si aspetta il conteggio dell’arbitro, sfruttando ogni secondo per riprendere fiato e lucidità. Ecco, riprendere fiato, per noi, vuol dire ragionare a mente fredda e cercare di capire il perché e il percome è successo un’altra volta.
Nessuno ha la verità in tasca. Tuttavia, cerchiamo di vedere se è possibile individuare dei fatti precisi da cui partire. In primo luogo cosa dimostrano queste elezioni? A mio modo di vedere, dimostrano tre cose. Primo, il bipolarismo è fallito. Secondo, il governo Monti e la maggioranza che lo sosteneva sono stati bocciati. Terzo l’Europa stessa – o meglio l’europeismo dei mercati finanziari - è stata bocciata.
I dati e i numeri non si prestano a interpretazioni diverse. Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno subito salassi qualche volta mortali. Lo stesso recupero di Berlusconi, che pure c’è stato, è in realtà molto relativo. Come partito il Pdl passa dai 13,6 milioni di voti del 2008 ai 7,3 del 2013, perdendo quasi la metà dei suffragi. Come coalizione Berlusconi perde la bellezza di 7,1 milioni, passando dal 46,8% al 29,1%. Il Pd perde meno ma subisce sempre un salasso incredibile passando dai 12 milioni agli 8,6 milioni e come coalizione perde 3,6 milioni di voti, passando dal 37,6% al 29,5%. Il risultato, ben al di sotto delle aspettative, del centro di Monti, fino all’altro ieri ritenuto il salvatore della patria, e la cancellazione dal panorama politico di Casini e Fini completa il quadro di bocciatura della grande coalizione che ha sostenuto il governo Monti ed implementato le politiche europee. Il pareggio tra i due vecchi poli, soprattutto l’emergere del polo di Grillo e, sebbene in misura minore, il consolidarsi di un centro al 10%, suona la campana a morto per il bipolarismo in sé stesso. Ma c’è un altro elemento fondamentale che si lega alla fine del bipolarismo, al crollo dei partiti tradizionali e di cui bisogna tenere conto, e che invece sembra passare inosservato. Si tratta dell’aumento dell’astensionismo, una tendenza storica ormai consolidata che neanche la straordinaria affermazione di Grillo è riuscita ad invertire. La partecipazione al voto – senza contare le schede bianche o annullate – è passata dall’83,6% del 2006, all’80,5% del 2008 e al 75,2% del 2013. In valore assoluto gli astenuti sono passati da 7,7 a 9,2 e a 11,7 milioni. 2,5 milioni in più solo tra le ultime due elezioni.
Per quanto possa sembrare paradossale il vero grande sconfitto da questa competizione è il capitale finanziario transnazionale. Il suo candidato era il ticket Bersani-Monti, come detto chiaramente nell’editoriale del 16-22 febbraio di The Economist, la più autorevole espressione di questo settore. Ora, il problema, per questi signori, è che è saltato il feticcio della “governabilità”, in altre parole la possibilità di implementare le politiche europee, dal fiscal compact alle varie controriforme. Di fatto, gli italiani col loro voto per Grillo, fregandosene di spread e governabilità, hanno fatto saltare i piani europei, in una sorta di referendum implicito sull’euro, e hanno lasciato il capitale senza un sistema politico funzionale.
A questo punto c’è da domandarsi perché gli italiani che hanno bocciato il governo Monti e l’Europa hanno concentrato il loro voto su Grillo e non hanno votato noi. Anzi, per la sinistra è stata una debacle generale, che coinvolge tutti e prosegue la tendenza emersa già tra 2008 e 2006, quando si persero più di 3 milioni di voti, come effetto della partecipazione al governo Prodi. Nel 2008 Idv, Prc (che comprendeva Sel), PdCI e verdi presero il 7,5%, oggi il 5,4%, passando dai 2,7 milioni del 2008 a poco più 1,8 milioni. Eppure, questa volta eravamo fuori dal Parlamento e ci siamo schierati contro Monti. Quindi, perché? La risposta è complessa e semplice insieme: abbiamo perso credibilità già da tempo e negli ultimi tempi non siamo riusciti a recuperarla, diminuendola ancora.
Vanno evitati due errori di semplificazione, dare la colpa ad un elettorato ottuso (o che non ci capisce o che segue le mode) e al voto utile. È evidente che noi facciamo i contri con la realtà e che questa in questa fase storica non ci è favorevole, per molte ragioni. Tuttavia, dobbiamo capire in primo luogo quali sono i nostri limiti, visto che è su questi che abbiamo maggiore potere di agire. E questo non per fare recriminazioni inutili o autoflagellarsi, ma per andare avanti costruttivamente. Dal mio punto di vista, se i lavoratori non ti votano (e a questi livelli), vuol dire che qualcosa hai sbagliato anche tu.
Il primo grosso limite è stato quello di non essere riusciti ad esprimere una linea coerente con quello che dicevamo e per giunta altalenante. È vero che ci siamo schierati contro Monti, però abbiamo cercato con insistenza un accordo con il partito che ha rappresentato il maggior sostegno al governo Monti e che di fatto esprimeva un evidente allineamento alle politiche europeiste, più di Berlusconi. Anche quando il Pd aveva rifiutato più volte le nostre offerte e si era formata la lista Rivoluzione Civile, Ingroia, almeno fino ad un certo punto, ha continuato a lanciare offerte di collaborazione con il Pd. Praticamente il correre da soli non è apparso come il risultato coerente di una scelta politica, ma come una specie di ripiego, dovuto al rifiuto del Pd. Un rifiuto che fra l’altro era molto prevedibile, data la manifesta volontà di quel partito di allinearsi alle politiche europee e di prepararsi all’alleanza post-elezioni con Monti. Tutto questo e, non ultime, le divisioni interne alla Fds - di fatto spaccata e ricomposta in extremis in RC – non hanno prodotto, anche prima della campagna elettorale, un attivismo e una visibilità adeguati. E, soprattutto non potevano non disorientare il nostro elettorato potenziale, che, infatti, in gran parte o si è astenuto o è andato con Grillo. Semmai hanno rafforzato in taluni l’idea di una disponibilità post-elettorale a ritornare ai vecchi compromessi.
Il secondo limite sta nel carattere della campagna elettorale di Rivoluzione civile, che, nonostante gli sforzi di alcuni, è rimasta incentrata sulla legalità (non che non sia importante ma non siamo stati capaci - nè lo poteva essere Ingroia, catapultato dalle aule di tribunale all’arena politica - a legare la questione della legalità all'economia e alla questione sociale), mentre siamo nella peggiore crisi economica dalla fine della guerra e la gente non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.
Il terzo limite, in una campagna elettorale e in una politica in cui conta sempre di più la comunicazione (ed in presenza di veri maestri del settore come Grillo e Berlusconi), è il fatto che abbiamo presentato un leader non in grado di trasmettere entusiasmo. Inoltre, abbiamo eliminato i simboli dei partiti che permettevano agli elettori di avere un punto di riferimento chiaro, con un cedimento suicida al trito refrain della “società civile” migliore di quella politica (in questo caso noi stessi). Ingroia è un personaggio prezioso per la sinistra che potrà dare un contributo importante nel futuro, ma come leader della coalizione non ha funzionato.
Analisi del voto più approfondite ci diranno se e quanto ha inciso il voto utile. Ma già nel 2008 incise in misura parziale e meno dell’astensionismo. Oggi, ha funzionato ancora meno. La controprova è il risultato mediocre di Sel con il 3,2% (solo un paio di mesi fa accreditata del 6%), solo un punto percentuale e circa 300mila voti in più rispetto a RC. Inoltre, bisognerà pur chiedersi perché non abbiamo intercettato i nuovi e vecchi astenuti e soprattutto perché con Grillo il voto utile non funziona, tanto più che, secondo le prime analisi sui flussi di voto, ha intercettato molta parte degli ex votanti del Pd nel 2008. Non è questa la sede per una analisi approfondita del Movimento 5 stelle. Ci limiteremo a considerare che il punto di forza di Grillo è stata la capacità di presentarsi come non compromesso con il passato, agitare credibilmente la questione dell’Europa e dell’euro e dichiararsi indisponibile ad accordi al ribasso. Ma soprattutto Grillo, a differenza nostra, ha capito dove tirava il vento e i sentimenti profondi che animano gli italiani.
L’errore maggiore sta nel fatto che in politica si deve scegliere. Noi abbiamo scelto di non scegliere e di far scegliere gli altri per noi. In un clima socialmente arroventato e in un quadro di grande fluidità questi errori si pagano pesantemente. A costo di ripetermi, bisogna tenere conto che la fase storica ed il contesto sociale ed economico in Italia ed in Europa sono mutati: ritorno della povertà e della disoccupazione di massa (e connessa crescita dell’astensionismo), trasformazione dello stato-nazione a fronte di politiche generali decise a livello europeo, delocalizzazioni e finanziarizzazione massicce ed altro ancora. Tutto ciò richiede un riadeguamento complessivo della proposta e del posizionamento politico. Non si possono ripetere le stesse formule del passato, basate sulla riedizione del centro-sinistra. Bisogna avere la capacità di dare alla nostra gente una prospettiva nuova ed ampia, che sia in grado di riattivare le energie e la voglia di lottare.
Per questo sono necessari una riflessione e un riposizionamento strategici, in cui però sia ben chiaro che l’unità e l’autonomia ideologica e politica dei comunisti, attraverso la ricostruzione di un vero partito comunista, sono il primo punto all’ordine del giorno. L’esito di queste elezioni, per noi, prova soprattutto questo. Solo dimostrando a noi stessi e agli altri che siamo capaci di unificarci e di trovare un punto di vista in comune, possiamo fare il primo passo per recuperare quella credibilità e quel terreno che abbiamo perduto.

sabato 16 febbraio 2013

Mal di plance


di Franco Cesario

La Politica, si sa, è passione ed impegno disinteressato (o almeno così dovrebbe essere). 
Affiggere i manifesti per la propria lista elettorale è sempre un piacere anche in questa campagna elettorale anomala, climaticamente fredda e brevissima.
Ogni anno però ci troviamo a "combattere" con delle plance piazzate in posti non consoni, non visibili perchè spesso occultati da automobili che, legittimamente, parcheggiano negli spazi a loro destinati.
Ogni anno ci riproponiamo di segnalare questa anomalia ma fino ad oggi non l'avevamo mai fatto.
Stavolta, stufi di impegnare il nostro tempo per fare campagna elettorale in questo modo, raccogliamo le segnalazioni da più parte pervenuteci per chiedere al Comune di Assisi di rivedere il posizionamento di questo utile strumento di informazione elettorale per i cittadini, svilito dalla spesso infelice ubicazione.
Non tutte le plance nelle varie frazioni sono in questo stato, ma molte si.
Quelle di Palazzo ad esempio, o quelle di S.Maria degli Angeli in piazza M.L.King, o quelle ad Assisi a Borgo S.Pietro, costantemente coperte dalle auto in sosta.
Quelle di Tordibetto poi sono totalmente inutili in quanto situate in una zona ad alta velocità di transito dei veicoli.
A Tordandrea e a Capodacqua invece sono in zone totalmente marginali rispetto al centro abitato.
Ovviamente sappiamo che non sarà facile trovare altri posti migliori. 
Il loro riposizionamento, comunque, diventa non più procrastinabile perchè altrimenti ci troveremo difronte ad uno spreco di risorse che nessun Comune d'Italia, tantomeno il nostro che continuamente canta il suo essere virtuoso, può più permettersi.

venerdì 8 febbraio 2013

ASSEMBLEA CON I CANDIDATI DI RIVOLUZIONE CIVILE




Bella serata quella di ieri alla Pro Loco di S. Maria degli Angeli in presenza dei candidati di Rivoluzione Civile alla Camera e al Senato (Marco Gelmini e Maura Coltorti di Rifondazione Comunista, Alfredo Andreani dell'IdV e il giornalista di Rai news 24 Carlo Cianetti già candidato sindaco per il centro sinistra ad Assisi nel 2011).
E' stata davvero l'occasione per un confronto con i compagni e le compagne soprattutto di Rifondazione Comunista che hanno preso la palla al balzo per chiedere delucidazioni sul progetto di Rivoluzione Civile, sulle sue prospettive e sulle sue criticità.
Un esempio di militanza politica senza eguali, verace ed appassionata come solo i Comunisti e le Comuniste sanno fare.
Un grazie particolare al Compagno Marco Gelmini per la carica che ci ha dato e per la sua risoluta pacatezza che ci ha confermato la bontà dell'azione politica che ci ha portato ad affrontare questa ennesima avventura elettorale.
Il nostro impegno, come sempre, sarà massimo.
Partiamo da lontano per creare quel processo aggregativo che in Grecia ha portato alla costituzione del grande progetto politico denominato Syriza.
La buona Politica finalmente si unisce alla parte sana della Società civile; insieme, nel 2011, abbiamo già vinto un'importante battaglia, quella dei referendum sui beni comuni e contro il nucleare.
Insieme riporteremo in Parlamento tutti quei temi che in questi anni sono stati volutamente snobbati dai governi liberisti e dell'austerity.