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Il Blog di Rifondazione Comunista di Assisi


venerdì 31 maggio 2013

Rifondazione riparte



Sabato 1 giugno si svolgeranno le Assemblee delle/dei segretarie/i di circolo di Rifondazione Comunista. Per favorire la partecipazione, rispondendo anche alla necessità di ridurre gli spostamenti e i costi conseguenti, le Assemblee si articoleranno territorialmente: a Milano per il Nord, a Roma per il Centro, a Napoli per il Sud.
Ciò segue analoghe iniziative svolte il 19 maggio in Sicilia e in Sardegna. Queste assemblee si inseriscono nel percorso congressuale straordinario, deciso dal Comitato politico nazionale, che si concluderà entro l’anno e che si sta articolando con i seminari tematici promossi dalla Commissione politica già insediata, con gli attivi regionali, le assemblee e le riunioni degli organismi di circolo e di federazione che si sono svolte all’indomani delle elezioni politiche.
Le assemblee delle/dei segretarie/i di circolo sono importanti sia come momento di “ascolto” del Partito, dei dirigenti, dei militanti, delle realtà di base che rappresentano il punto di forza di Rifondazione, sia come momento di confronto e orientamento sulla proposta di rilancio di Rifondazione e della ricostruzione di una sinistra alternativa anche nel nostro Paese.
Sinistra alternativa che, come dimostrano anche le recenti elezioni amministrative, può articolarsi mettendo in rete le esperienze territoriali, in modo unitario e partecipato, capace di avanzare proposte in grado di rispondere anzitutto alla crisi sociale che interessa il nostro Paese e l’Europa.
Su questo è bene che emerga un piano di lavoro, di iniziative precise che consentano al Prc ed alle forze della sinistra di misurarsi con proposte concrete e la costruzione di consenso, condivisione, messa in campo di forze.
Queste assemblee sono state precedute dall’avvio di una “Inchiesta sul Partito” che tende a ricostruire con maggior dettaglio la presenza e la qualità dell’azione diffusa del Prc.
E’ utile precisare a chi si rivolgono queste Assemblee, cioè quali sono le articolazioni del Prc:
dal congresso del dicembre 2011 emerge una articolazione in 1.415 circoli (605 al Nord, 440 al Centro, 254 al Sud, 59 in Sicilia e 57 in Sardegna sulla base delle suddivisioni regionali precedentemente indicate per lo svolgimento delle Assemblee)
gli iscritti al 31/12/2012 sono 31.901 (per ulteriori dati è possibile visitare il sito www.rifondazione.it).
Rifondazione da sola, lo abbiamo sempre detto, non è certo forza sufficiente, ma questi dati segnalano un importante radicamento che si traduce nella presenza attiva del Prc in tutte le lotte.
Mettere a valore la risorsa delle/dei nostri militanti è il primo modo concreto per cambiare noi stessi e contribuire alla ricostruzione di una sinistra che abbia nei comunisti un punto di forza.

giovedì 30 maggio 2013

Contano i voti, non solo le percentuali


di Alfonso Gianni 

È passato diverso tempo da quando mi iscrissi al Partito comunista italiano. Per la verità dovrei dire alla Federazione giovanile, ma allora non vi era molta differenza, essendo il grado di autonomia di quest’ultima dal partito praticamente inesistente. Era l’ottobre del 1964. Il segretario del Pci era venuto meno nell’agosto di quell’anno, quindi quel tesseramento prese il nome di “leva Togliatti”.

Tra le prime cose che in sezione mi insegnarono ne ricordo in particolare tre: attacchinare i manifesti, possibilmente senza farsi beccare dalla volante (allora la polizia aveva tempo da perdere), cosa che naturalmente mi successe alla seconda uscita con il secchio di colla in mano; leggere i testi “minori” di Marx (ad esempio “Salario, prezzo e profitto”) per poterli poi spiegare in apposite riunioni a chi non poteva essere avvezzo agli studi; a contare i voti di ogni tipo e grado di elezione, non limitandosi alle percentuali, per percepire esattamente pensieri e umori dell’elettorato e relative linee di tendenza.
Nessuno insegna e fa più queste cose. E si vede. Una piccola parte della crisi della politica, dei partiti e della sinistra in particolare deriva anche da questo, oltre che da fenomeni epocali. Ed è proprio sulla terza questione che conviene soffermarsi all’indomani di un’importante tornata elettorale amministrativa.
Già le elezioni politiche si erano concluse con un sorpasso in discesa e di esigua misura del centrosinistra sul centrodestra, cioè con il contemporaneo arretramento di entrambi e con un bel 25% di elettorato risucchiato dall’astensione. Sono passati pochi mesi e la cosa si ripete ancora peggiorata. Eppure non sembrerebbe, stando alle dichiarazioni trionfanti in particolare degli esponenti del centrosinistra. Il pericolo grillino appare momentaneamente ridimensionato, ma la disaffezione alle urne sale alle stelle.
Prendiamo il test più significativo, quello di Roma, dove almeno si è manifestato un largo distacco tra Marino e Alemanno e dove purtroppo Sandro Medici, schierato alla sinistra di Marino, non ha raggiunto il quorum per entrare in consiglio comunale. Dunque parrebbe un tripudio per il centrosinistra. Ma non lo è se i voti si contano per davvero.
In un quadro generale in cui l’astensione ha toccato vette inimmaginabili fino a poco tempo fa, il Partito democratico prende 267.605 voti, perdendone ben 253.118, quasi la metà. Nel 2008, infatti, aveva raggiunto 520.723 voti, pur perdendo poi nel ballottaggio. Se si guarda ai voti di lista si vede che la somma dei voti ottenuti da tutte le organizzazioni che hanno sostenuto Marino non raggiunge la cifra dei voti del solo Partito democratico nel 2008: infatti si ferma a 433.714, quasi 90 mila voti in meno.
Il confronto viene fatto ovviamente fra elezioni tra loro omogenee. Ma anche se si volesse mischiare carote con patate, considerando nello stesso arco di tempo, elezioni di diverso livello, la linea discendente del centrosinistra risulterebbe confermata.

Come si faccia, quindi, a trarre da queste elezioni amministrative (anche gli altri capoluoghi confermano tendenze analoghe) la conferma di uno stato di salute vigoroso del centrosinistra e per di più sposarlo con il contemporaneo rafforzamento del governo delle larghe intese rimane un mistero politico e aritmetico. Ma più semplicemente si tratta di un’ulteriore perdita di senso della realtà da parte delle elite dirigenti.
L’unica cosa che sembra contare sono le percentuali. Tranne che nel caso del referendum bolognese sui finanziamenti alle scuole private, dove invece i perdenti, con in testa il Pd, si lamentano della scarsa partecipazione al voto, peraltro da loro stessi promossa. La ragione è semplice. Sono le percentuali a determinare comunque l’elezione dei candidati, mentre delle tendenze di lungo corso – riscontrabili solo nell’andamento dei voti effettivi – che mostrano il distacco crescente della popolazione dall’attuale offerta politica e la crisi di credibilità delle formazioni in campo, sembra non curarsi nessuno. Dio acceca chi vuole perdere.

martedì 28 maggio 2013

Una prima riflessione sul voto amministrativo




di Gianluigi Pegolo 

Il dato più clamoroso di questa tornata di elezioni amministrative è l’incremento dell’astensionismo. Il dato è in sé sorprendente: rispetto alle precedenti elezioni l’aumento è stato di quasi il 15%, anche se va un po’ ridimensionato, per l’effetto distorcente prodotto in quell’occasione dall’abbinamento con le politiche. In ogni caso, il logoramento del rapporto dei cittadini con la politica è del tutto evidente e che in questo la nascita del “governissimo” abbia agito come acceleratore è evidente. La dinamica dell’astensionismo richiederà un’analisi approfondita perché va chiarito chi ne è stato maggiormente penalizzato. Sono le forze politiche di governo, o qualcuna di queste in particolare o si è trattato di un fenomeno trasversale?
Le domande sono pertinenti, a maggior ragione nel momento in cui dal voto emerge un altro fatto eclatante e cioè il calo vistoso di consensi subìto dalle liste del Movimento 5 stelle rispetto alle politiche. Si tratta di un dato generale che tocca anche realtà dove Grillo aveva investito molto, come nel caso di Siena, ma anche altri comuni dove il movimento era diventato il primo partito. Per avere un’idea di ciò che si è verificato si tenga conto che in tutti i comuni capoluoghi di provincia dove si è votato (una quindicina) in nessun caso il Movimento 5 stelle è arrivato al ballottaggio. E’ senz’altro vero che il voto amministrativo presenta caratteri peculiari rispetto a quello politico, ma è pur vero che nelle precedenti amministrative casi come quello di Parma avevano indotto a ritenere possibile uno sfondamento nei livelli locali, che ora non si è più prodotto.
Accanto a questi fatti, va segnalato il successo del centro sinistra sul centro destra. Si tratta di un successo molto segnato dal risultato di Roma. Il vantaggio di Marino al primo turno sul sindaco uscente Alemanno è di tale ampiezza da non prestarsi a discussioni, ma questo risultato può spiegarsi sia con il giudizio negativo sull’operato del governo di centro-destra, sia col profilo autorevole del candidato del centro-sinistra. Potrebbe trattarsi, quindi, di un caso particolare se non fosse che anche in tutti gli altri comuni capoluoghi di provincia i risultati al primo turno sono migliori per il centro-sinistra. Solo un’analisi più dettagliata dei risultati consentirà di capire perché ciò si sia prodotto. Si noti, fra l’altro, che i sondaggi nazionali in quest’ultima fase davano in crescita il centro destra, ormai in vantaggio sul centro-sinistra. E se è pur vero che il centro sinistra ha sempre avuto nel locale il suo punto di forza, non era per nulla scontato che andasse a finire così. Si pensi al caso clamoroso di Siena dove il candidato sindaco del centro sinistra dopo il primo turno resta in vantaggio. A tale riguardo, si possono formulare più ipotesi, ivi compreso il rientro nel centro sinistra di una parte di consensi strappati da Grillo nelle scorse politiche, ma si tratta per l’appunto d’ipotesi che andranno verificate.
Questa dinamica complessiva costringe le forze di alternativa a una riflessione. In primis, è necessario un bilancio dei risultati ottenuti in questa consultazione elettorale. Mi limito per il momento a un esame dei comuni capoluoghi, riservandomi in un’altra occasione di intervenire sull’insieme dei comuni maggiori. Il caso più significativo è quello di Roma, dove il risultato della coalizione formatasi intorno alla candidatura di Sandro Medici è stato al disotto delle aspettative, nonostante la qualità della proposta politica e la generosità dello stesso candidato sindaco. E’ evidente che la contrapposizione fra un sindaco uscente dichiaratamente di destra e uno schieramento di centro sinistra, per di più guidato da una personalità prestigiosa, ha penalizzato in modo rilevante lo schieramento alternativo. Questo risultato influenza in modo negativo il giudizio complessivo sulle performance della sinistra di alternativa in queste elezioni, ma è necessario estendere l’analisi anche agli altri comuni capoluoghi.
La dinamica del voto utile, infatti, non ha sempre agito nello stesso modo a livello nazionale. In alcuni casi, infatti, si sono avuti risultati positivi, laddove il PRC insieme con altre forze si collocava in alternativa al PD. E’ il caso di Imperia, dove la lista SEL-PRC ottiene con il suo candidato sindaco l’11,2%, di Siena dove la coalizione di tre liste raggiunge il 10,2%, di Ancona dove la alleanza fra la  lista PRC-PDC e quella di SEL ottiene il 9,5%, di Pisa, dove la coalizione fra PRC e una lista di movimento raggiunge l’8%. Nel complesso, quindi, la possibilità di dar vita a poli autonomi di sinistra nelle elezioni amministrative in grado di ottenere risultati non marginali, trova una conferma in questo voto amministrativo, ma con alcune doverose precisazioni. La prima è che la qualità politica del polo alternativo e la sua dimensione sono essenziali ai fini del risultato. Dal voto, infatti, emerge che nel caso in cui il PRC scelga una collocazione alternativa in solitaria, cioè con la propria lista e senza un sistema minimo di alleanze, è penalizzato in alcuni casi anche duramente.
Naturalmente in queste elezioni le forze alla sinistra del PD hanno spesso partecipato ad ampie coalizioni di centro-sinistra in diverse realtà. Rispetto ai comuni capoluoghi, il PRC era presente in circa un terzo dei casi nel centro sinistra. Il vantaggio principale ottenuto nella presentazione nelle coalizioni di centro sinistra è il beneficio derivante in caso di vittoria dalla spartizione del premio di maggioranza, ma al momento mi è impossibile quantificare i risultatai ottenuti dal PRC in termini di seggi. Il giudizio sui risultati ottenuti in questi casi è inoltre reso problematico dal fatto che  il PRC era sempre presente in liste unitarie di sinistra, se si esclude il caso di Massa. In ogni caso, dal punto di vista delle percentuali ottenute dalle liste unitarie, mediamente positive, va segnalato in particolare il buon risultato delle liste unitarie di Barletta e Lodi dove si supera, in entrambi i casi, l’8%.
Questi primi elementi emergenti dall’analisi del voto attendono di essere integrati con un’analisi più puntuale (partendo dai valori assoluti, anziché da quelli percentuali) e più complessiva (investendo anche il resto dei comuni superiori), ma già ora indicano quale sia il problema politico di fronte al quale si viene a trovare la sinistra di alternativa nei governi locali. Essa non solo deve fare i conti con una maggiore articolazione politica a seguito dell’affermazione accanto ai due poli principali del Movimento 5 stelle, ma non può facilmente contare sul logoramento del centro-sinistra a seguito della sua collocazione politica nazionale. L’ambito locale rimane una realtà con peculiarità particolari e il PD conserva una forza considerevole. Una sinistra può però affermarsi. E non solo se converge in alleanze di centro sinistra, ma anche se si pone in alternativa esplicita al PD, a condizione che essa sia effettivamente rappresentativa.
Per il PRC, la scelta della costruzione dell’unità della sinistra di alternativa è una strada obbligata. Non si tratta solo di una scelta politica in sé necessaria,  dettata dalla situazione politica e sociale, ma anche di un’esigenza reale, in particolare in presenza di competizioni elettorali, ivi comprese quelle locali. I dati elettorali parlano chiaro: il potenziale elettorale delle sole liste del PRC o del PRC/PDCI non è sufficiente a garantire una rappresentanza nella maggior parte dei  governi locali. L’unità è pertanto obbligata nei casi di collocazione alternativa al centro-sinistra, ma lo è ormai in molti casi anche quando viene scelta una collocazione interna al centro sinistra. Non è un caso se spesso in questa tornata elettorale si sono costruite liste unitarie di sinistra con biciclette o sottoforma di liste civiche. La costruzione di questa sinistra può partire dalle realtà locali, ma va proiettata in una dimensione nazionale. Le esperienze unitarie che sono state attivate in queste elezioni ce ne offrono un’occasione.

lunedì 27 maggio 2013

Proporzionale puro, se non ora quando?



di Massimo Villone

Tanto tuonò che piovve. Quagliariello ha consegnato alle camere il pensiero del governo sulle riforme. Ma non è andato oltre una uggiosa pioggerellina autunnale. Apre con la necessità di riformare le istituzioni, e assembla a tal fine i luoghi comuni che da più di vent’anni infestano il pensiero degli aspiranti padri della patria. In particolare, due. Il primo è l’affermazione che si rivede solo la seconda parte, mentre non si tocca la prima parte della Costituzione. In realtà, è già stata ampiamente – se pure indirettamente – picconata. Basta pensare alla riforma dell’articolo 81, con l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, che ha come effetto collaterale quello di comprimere le risorse disponibili per la realizzazione dei diritti «a prestazione» di cui alla prima parte. O si pensa, ad esempio, che un problema come quello degli esodati sia costituzionalmente irrilevante? Ancora, la riforma del Titolo V, Parte II, incide pesantemente sulla Parte Prima, dando copertura costituzionale a livelli elevati di diseguaglianze territoriali. E poi, come si può seriamente dire che la Parte Prima non si tocca quando una percentuale alta e crescente della popolazione è già, o sta scivolando, sotto la soglia di povertà?

Il secondo luogo comune è che bisogna rafforzare governabilità e stabilità, con riforme della Costituzione, dei regolamenti parlamentari e della legge elettorale. L’obiettivo di fondo è che nessuno disturbi il manovratore.
Diciamo subito che il governo è debole davvero. Ma per motivi che nulla hanno a che fare con il rapporto tra esecutivo e legislativo. Sono motivi strutturali, che vanno dal rapporto con l’Europa, al trasferimento alle regioni di poteri e risorse molto consistenti, all’istituzione di numerose autorità indipendenti, alle privatizzazioni e liberalizzazioni. Tutto ciò ha tolto all’esecutivo materia e strumenti di governo, indebolendone la capacità di formulare e attuare un indirizzo politico. Bisogna correggere tutto questo? Sì, per quanto possibile. Ma cosa c’entra il rapporto con le camere? Proprio nulla.
Eppure, il pensiero unico punta su questo. Con risultati talora persino divertenti. Ad esempio, che differenza c’è tra il porre la questione di fiducia per stroncare gli emendamenti e l’avere regolamenti parlamentari che in vario modo limitino in radice l’emendabilità della proposta del governo? Nessuna. Il risultato è esattamente lo stesso. Alla fine, rimane in campo solo l’esecutivo. Perché una via dovrebbe considerarsi conforme ai canoni della democrazia e l’altra no?
Qui viene la madre di tutte le soluzioni: agire sulla legge elettorale, per avere maggioranze coese e allineate dietro l’uomo al comando, e lasciando i politicamente diversi fuori della porta delle istituzioni. Nessuno sembra voler davvero imparare da Grillo. Gli si può contestare la linea politica, o la gestione incostituzionale della democrazia interna. Ma Grillo certamente dimostra che non c’è premio di maggioranza o sistema costrittivo che possa fermare la novità che avanza, quando ciò che esiste non dà risposta. Quanti Grillo vogliamo creare? Non dimentichiamo la lezione della storia. La più grande prova che le istituzioni repubblicane hanno dato è la lotta al terrorismo. La forza delle istituzioni fu la loro rappresentatività. Sarebbe stato meglio se un premio di maggioranza avesse allora ridotto la forza del Pci, aprendo la strada a governi monocolore Dc?
Quagliariello parla di complessità, velocità di decisione, modernizzazione. Poniamo invece un assioma: in un sistema democratico l’unico rasoio di Occam è la rappresentatività. Quanto più il cambiamento è rapido e profondo, tanto più c’è bisogno di condivisione. E allora bisogna aprire il sistema politico alla novità, facilitare la strada per le new entries, ridurre al minimo ostacoli e paletti. Non ridurre forzosamente la complessità, piuttosto rifondare la politica per poterla governare: questa la risposta. Se mai c’è stato un momento giusto per tornare al proporzionale poco o nulla corretto, è questo. Ed è la strada migliore – con la misura di un consenso effettivo e non nei soli numeri parlamentari – per forgiare una nuova classe dirigente. Quella che abbiamo è arrivata, con ogni evidenza, al capolinea.
Su una cosa si può essere d’accordo con il ministro: bisogna guardarsi dal conservatorismo costituzionale e dall’accanimento modellistico. Giusto. Sempre che ci guardiamo anche dalla stupidità del pensiero unico.

giovedì 23 maggio 2013

Assisi ricordi Don Gallo




di Franco Cesario 

Un altro pezzo importante della nostra storia purtroppo se ne va.
Don Gallo, il prete da marciapiede, come amava definirsi, il faro costante degli ultimi e degli emarginati, ha deciso inopinatamente di abbandonarci.
Senza la sua presenza sarà ancora più duro lottare e battersi contro le ingiustizie della società per chi, come noi, fa dell’antifascismo e della tolleranza la sua ragion di vita.
Confidiamo però che la sua tenacia, la sua simpatia (universalmente riconosciuta) e la sua enorme carica umana continuino ad essere da modello e da insegnamento per le giovani generazioni e non.
Don Gallo ci ha insegnato, infatti, cosa sia l’amore per il prossimo guardando costantemente all’integrazione come opportunità e non come pericolo.
Don Andrea conciliava la passione per le idee di progresso con l’amore nei confronti di Dio;  spesso veniva ripreso e bacchettato dalle alte gerarchie ecclesiastiche, a volte perchè costituiva un pungolo costante contro la corruzione dei costumi altre per il suo essere “angelicamente anarchico”.
Nessuno potrà negare, però (a meno che non voglia fare ammissione di faziosità) la sua grandezza spirituale, la sua enorme passione per la vita e il suo positivo ascendente sui tanti credenti che anche grazie al suo esempio si sono sentiti più liberi di essere contemporaneamente cattolici e comunisti.
Per tutte queste ragioni ci piacerebbe che anche da Assisi, città della pace, e dalle sue Istituzioni, amministrazione comunale e sacro convento, provenisse il legittimo tributo per l’opera donata al mondo da questo Giusto, come sempre viene fatto, lodevolmente, per tutte quelle personalità nazionali ed internazionali che, in questi anni, sono venute a mancare.
Proponiamo inoltre in questa sede che si prenda in seria considerazione la possibilità di intitolare a Don Andrea Gallo un via o una strada del comune di Assisi; a questo scopo a breve proporremo una mozione al consiglio comunale affinché anche il grande prete di Genova possa avere il suo spazio nella città del santo poverello.

mercoledì 22 maggio 2013

Grazie alla crisi passano le riforme dell’élite



di Paul Krugman 


Noah Smith ha recentemente espresso un interessante punto di vista sui reali motivi per cui le élite sostengono così tanto l’austerità, anche se in pratica essa non funziona. Le élite, egli sostiene, vedono le difficoltà economiche come un’opportunità per costringere a delle riforme (cioè in sostanza i cambiamenti da loro desiderati, che possano servire o meno a promuovere la crescita economica) e si oppongono a tutte le politiche che potrebbero attenuare la crisi senza rendere necessari questi cambiamenti: «Penso che gli “austerians” siano preoccupati che delle politiche macro anti-recessione consentirebbero a un Paese di cavarsela nella crisi senza migliorare le sue istituzioni. In altre parole, temono che uno stimolo di successo potrebbe sprecare le possibilità offerte da una buona crisi. Se la gente pensa realmente che il pericolo di uno stimolo non è che potrebbe fallire, ma che potrebbe avere successo, allora dovrebbe dirlo chiaramente. Solo così, credo, potremmo avere un dibattito pubblico ottimale sui costi e benefici».

Come Smith osserva, il giorno dopo aver scritto questo post, Steven Pearlstein del “Washington Post” ha fatto esattamente questa argomentazione a sostegno dell’austerità.
Ciò che Smith non ha osservato, in modo alquanto sorprendente, è che la sua tesi è molto vicino alla Shock Doctrine di Naomi Klein, la quale sostiene che le élite sistematicamente sfruttano i disastri per far passare politiche neoliberiste, anche se tali politiche sono sostanzialmente irrilevanti sulle cause dei disastri. Devo ammettere che al tempo della sua pubblicazione non ero tanto ben disposto verso il libro di Klein, probabilmente perché fuori dal campo della professionalità e cose simili, ma la sua tesi aiuta davvero a spiegare molto di quello che sta succedendo, in particolare in Europa.
Scrive la Klein: « Per decenni le destre hanno sfruttato le crisi per far accettare proposte che non hanno nulla a che fare con la risoluzione di tali crisi. Il Wisconsin non è diverso. Dal Cile degli anni Settanta in poi gli ideologi della destra hanno sfruttato le crisi per spingere proposte che nulla hanno che fare con la risoluzione delle crisi, e che tendono ad imporre la loro visione di una società meno democratica, dura, e più diseguale. Non c’è niente di sbagliato nel rispondere alla crisi in maniera decisa. Le crisi richiedono risposte decisive. Il problema è questo ambiguo tentativo di usare la crisi per centralizzare il potere, di sovvertire la democrazia, di evitare il dibattito pubblico dicendo: “Non abbiamo tempo per la democrazia. È tutto in confusione. Non importa quello che volete. Non abbiamo scelta. Dobbiamo forzare”. Sta accadendo tutto su vasta scala».
E la storia va ancora più indietro. Due anni e mezzo fa Mike Konczal ci ha ricordato un classico saggio del 1943 di Michal Kalecki, il quale suggeriva che gli interessi del business odiano la teoria economia keynesiana perché temono che potrebbe funzionare. E questo comporterebbe che i politici non dovrebbero più umiliarsi davanti agli uomini d’affari in nome del fatto di preservare la fiducia. È un argomento abbastanza vicino alla tesi che l’austerità è necessaria perché lo stimolo potrebbe togliere l’incentivo alle riforme strutturali che, avete indovinato, offrono alle aziende la fiducia di cui hanno bisogno prima di degnarsi di produrre la ripresa.
Quindi, un modo di vedere la via dell’austerità è l’implementazione di una sorta di giuramento di Ippocrate al contrario: «In primo luogo, non far nulla per limitare il danno». Perché la gente deve soffrire se le riforme neoliberiste devono prosperare.

martedì 21 maggio 2013

La Sinistra e la fase



di Franco Cesario

La politica italiana si sta intricando come non mai e il rischio concreto è che i cittadini si disaffezionino definitivamente alla cosa pubblica come già ampiamente dimostrato dalle elezioni regionali in Sicilia e in Friuli, trasformando la nostra democrazia in una imitazione sbiadita di quella a stelle e strisce.
Non contribuisce ad attenuare le polemiche il comportamento camaleontico del PD, un partito di cui  è fin troppo facile evidenziare le spaccature, capace di passare in pochi mesi da designato vincitore in pompa magna delle elezioni politiche ad un governo guidato da un giovane democristiano in alleanza con il partito del caudillo di Arcore il cui unico scopo è la salvezza dai guai giudiziari del capo, passando per l’affossamento dei potenziali presidenti della Repubblica espressione della cultura progressista e laica (ri-eleggendo tra l’altro quel Napolitano che tante responsabilità ha nei mali del nostro Paese, dalla forzatura del governo Monti fino all’attuale inciucio PD-PdL-Monti, senza scordare la questione delle intercettazioni cancellate…).
Grillo intelligentemente ha capito che un tale accrocchio non potrà essere a lungo sopportato dagli elettori del PD, partito non più monolitico come alcuni decenni fa, e fidandosi dei sondaggi (quegli stessi che lo davano al 16%…) preme per polarizzare lo scontro solo con Berlusconi, anche per calmierare la probabile emorragia di voti che a febbraio gli concessero in dote gli stessi PdL e Lega.
La soluzione proposta proprio dal duo Zanda-Finocchiaro non costituisce certo la soluzione alla crisi politica italiana.
È vero che sarebbe auspicabile una riforma dei Partiti affinché possano essere veramente trasparenti e democratici (dato che cancellarli sarebbe dannoso mentre l’unica via praticabile è la riforma di questi pilastri della democrazia) ma proporre in questo preciso momento storico una norma in cui anche i più attenti e i meno maliziosi non potrebbero non cogliere l’intento punitivo nei confronti di un Movimento che ha osato contrastare i mostri sacri della politica italiana, sembra davvero un grossolano errore.
Bene fanno i pentastellati, in quest’ottica (e nella loro ottica), come già fatto nel non-appoggio del governo Bersani, a proporre l’annosa questione dell’ineleggibilità di Berlusconi, perché questo apre delle laceranti contraddizioni nel Pd ma soprattutto perché è una battaglia sacrosanta (vedere la faccia e il mutismo di Zagrebelsky a questa specifica domanda nella puntata di Piazzapulita a questo scopo è istruttivo…).
Per quanto riguarda invece le critiche sollevate dalla Gabanelli (una ex eroina del Movimento?) nell’ultima puntata di Report, non si può non rilevare che esse siano più che legittime e concrete e dovrebbero far pretendere ad ogni “sincero” militante dei 5 Stelle risposte da chi ha sempre sbandierato il vessillo della trasparenza; al contrario, se, come sembra avvenire in queste ore, prevalesse la tentazione di demonizzare le parole della conduttrice di Report, ci troveremmo di nuovo di fronte a semplici tifosi adoranti del caro leader di turno, come stigmatizzato in una recente intervista del bravo attore Elio Germano.
In questo marasma pericoloso e brulicante in cui si è paludato il nostro Paese, la Sinistra, quella vera, ha l’obbligo di riorganizzarsi per non lasciare ad altri, legittimamente impegnati nel rubare voti, il pallino della situazione.
A questo scopo serve ripartire dalle cose concrete e dagli elementi di unità: il no al fiscal compact, la volontà di un’Europa diversa che superi i tecnocratici trattati di Maastricht e Lisbona, la lotta per i Beni Comuni sono elementi condivisi da tanti cittadini e sono fattori che possono aggregare per  superare le divisioni sul come per arrivare al cosa, reindirizzando l’elettorato che appoggia queste idee verso chi ha una visione complessiva della società. La pseudo responsabilità o la sola lotta alla casta, per quanto giusta, sono risposte parziali ed inadeguate.
Fare ciò non è una missione impossibile e nonostante la galassia dell’antagonismo sia costellata da molte piccole percentuali, unendo le idee e superando le vecchie dirigenze, si potrà rendere un concreto servigio alla Sinistra e, quindi, alla Comunità.

da francocesario.altervista.org

"Penso con la mia testa, non sto con Grillo. Vi racconto la mia sinistra dal Teatro Valle..."



intervista a Elio Germano
“Oggi bisogna puntare sulle battaglie concrete nei quartieri, nelle scuole, gli ospedali, le case occupate: sono tutti piccoli tentativi per smetterla con la delega al leader di turno. Basta con miti e faccioni ai quali delegare i nostri desideri di felicità, bisogna coltivare un approccio che parta dal pensare con la propria testa… Il dubbio è che il M5s risponda alla ricerca di un altro leader che dia sicurezza, dietro cui nascondersi e smettere di pensare: questo è il pericolo che intravvedo. Smettiamola di cercare l’eroe che salverà il mondo…”.
Parola di Elio Germano. Che questo tipo di impegno politico lo ha coltivato da sempre, facendone proprio una filosofia di vita. Tanto da spingersi a scendere in campo con altri artisti, come il collega attore Valerio Mastandrea, al fianco di Sandro Medici alle comunali di Roma. “Non si tratta di schierarsi, ma di cercare di capire il progetto che mi rappresenta di più…”, ci dice in questa intervista che va oltre il voto sul Campidoglio e tratteggia un’altra idea di società. A sinistra.
Hai preso in parola Gramsci e il suo monito contro l’indifferenza, quello che hai recitato di recente a Piazza Pulita... 
Senza scomodare Gramsci, la nostra è una semplice e spontanea aggregazione di artisti che ha deciso di dare una mano a Sandro Medici e il suo progetto di Repubblica romana. E’ un progetto che per ora rappresenta le nostre battaglie e voglio specificare che la nostra è un’iniziativa completamente spontanea, gratuita e orizzontale: nessuno ce l’ha chiesto. C'è un'idea dietro, cioè il fatto che la gente non sia cliente di qualcosa ma con-proprietaria delle cose. E’ una questione che sta molto a cuore non solo agli artisti, ma a chi lo sperimenta negli spazi occupati e ‘riconquistati’ contro le speculazioni, tipo il Teatro Valle, il Cinema Palazzo (laboratori occupati a Roma, ndr.).

Domanda d’obbligo: in questo genere di approcci, il trend del momento sembrerebbe essere il Movimento 5 stelle. Anche nei movimenti e nelle occupazioni molti hanno votato M5s. Come mai voi non vi siete schierati con Beppe Grillo? 
Io faccio parte dell’Associazione ‘Artisti 7607’ (anti-Siae, ndr.), do il mio contributo al Valle occupato, al Cinema Palazzo. La vera battaglia che facciamo in tantissimi ambiti è di fatto un tentativo di smetterla con la delega. Anziché pubblicizzare miti e faccioni da sostenere e ai quali delegare i nostri desideri di felicità, il tentativo è quello di riappropriarsi dei propri quartieri e coltivare un approccio che parte innanzitutto dal pensare con la propria testa. Si tratta di mettere a disposizione della comunità quello che so fare per cercare di proporre un sistema diverso in cui crediamo. Non è detto che la società debba andare avanti perché c'è un padrone che ti dice quello che devi fare e tu devi obbedire in nome di uno stipendio e ritenerti soddisfatto per questo. Mettersi a disposizione per qualcosa ti pone in un rapporto molto migliore della dinamica lavoro-stipendio. Faccio l’esempio del concerto del primo maggio a Taranto: hanno partecipato in 50 mila in una città di 200mila persone, una serata organizzata senza sponsor, senza soldi e senza un sindacato o un partito dietro. Chi ha messo a disposizione il ristorante, chi gli strumenti per suonare, chi gli stand: si è lavorato senza soldi e tanto, e poi ti chiedi: ma perché sono più felice? Perché si è sperimentato un nuovo modo di stare insieme, avviene già: dobbiamo solo istituzionalizzarlo, perché i condomini quartieri scuole dovrebbero essere gestiti così.

Vuoi dire che nel Movimento 5 stelle non si pensa con la propria testa?
Premetto che non mi piace parlare di politica perché non vorrei che qualcuno pensi che voglia imporre la mia opinione solo perché sono un attore, dunque persona nota. Non voglio approfittare di quello che sono. Dico solo la mia: dai cinque stelle ho sentito parole che ricordano le esperienze che io quotidianamente, da anni, condivido. L’idea che ciascuno conta uno, le pratiche assembleari, discutere e decidere sono questioni che nella pratica ho sempre vissuto, senza aver bisogno di sbandierarlo. E’ la sostanza della nostra modalità di approccio alle cose. Non capisco come nel Movimento cinque stelle pensano di mettere in pratica le cose che hanno predicato. Molto spesso parlano di realtà e pratiche che già esistono. Loro aspettano le decisioni di una persona sola…

Grillo.
Il dubbio è che il fenomeno M5s risponda alla ricerca di un altro leader che dia più sicurezza, dietro cui nascondersi e smettere di pensare: questo è il pericolo che intravvedo.

Quanto al Pd, nessuna speranza?
Sono cresciuto nelle occupazioni, non mi sono mai identificato con il Pd. Ma da esterno dico che devono decidere che partito vogliono essere. Se sostengono solo il libero mercato e la repressione dei movimenti sociali, per citare due esempi, beh allora stanno a destra: non c’è da vergognarsi, basta ammetterlo e non è un problema mio. E’ vero che nel Pd intorno al candidato Ignazio Marino ci sono brave persone. Come ce ne sono in tutti gli ambiti. Anche nella polizia: per esempio, se nei Cie, come poliziotto, decido di trattare una persona come un essere umano, invece che come bestia, sto facendo una cosa più importante che fare una manifestazione, senza nulla togliere ai cortei che restano espressioni sacrosante e legittime.

E’ quello che sembra dire Epifani quando risponde alle critiche della Fiom per l’assenza del Pd in piazza San Giovanni sabato scorso. Ma detta da te, sembra una giustificazione per quegli attivisti dei movimenti sociali e studenteschi che non hanno manifestato con i metalmeccanici. E’ così?
Nei movimenti ormai non esistono le etichette e le adesioni per etichette. Esistono le singole persone che fanno battaglie insieme. Poi politicamente ognuno è libero di scegliere. Nella ‘politica alta’ si discute ancora di destra e sinistra, ma il vero discrimine che vedo è tra chi pensa che la soluzione sia nelle possibilità di sviluppare i propri interessi e chi pensa che si debba fare di tutto per sviluppare un interesse collettivo. Nella politica delle piccole battaglie concrete il discrimine è nella singola persona: tra chi sceglie di eliminare un privilegio e chi no. Spesso il modello da seguire si trova nelle realtà che vengono criminalizzate: per esempio, dentro una casa occupata c’è chi si occupa di pulire le scale, chi di portare i figli all’asilo, chi fa i corsi di preghiera, chi cucina, chi pulisce il giardino. Perché non può funzionare così in società? Smettiamola di cercare l’eroe che salverà il mondo e cominciamo a parlare delle questioni, non di nomi. La realtà è viva non ha bisogno di sigle o nomi magici.

lunedì 20 maggio 2013

Per la sinistra ferita serve una costituente


di Adriano Sofri

La manifestazione cui la Fiom ha chiamato ieri a Roma in nome del lavoro e dei diritti era la benvenuta. Le persone di sinistra – scriviamolo senza preoccuparci di definirlo, “come se” lo sapessimo – sono state raramente così tristi. La manifestazione è andata coraggiosamente contro questo stato d’animo. E ha fatto incontrare militanti e cittadini decisi a reagire. Il bravo Maurizio Landini ha ceduto alla frase da comizio –«Siamo la parte migliore dell’Italia» – troppo sentita e sfortunata: ma che fosse convenuta lì una parte buona dell’Italia è certo, e non è poco. I commenti hanno riguardato di preferenza chi non c’era. Si capisce, soprattutto rispetto al Pd: «Un Pd che non sta in strada con la Fiom mentre sta al governo con Berlusconi». C’era uno slogan antico, dell’estrema sinistra: «Il piccì, non è qui, lecca il c… alla diccì». Il Pd, epigono mai abbastanza rimescolato di ambedue, è al governo con un’altra cosa, e non ha creduto che l’invito della Fiom fosse un’occasione per testimoniarsi di governo e di lotta. Alla manifestazione si guardava anche per misurare l’amalgama possibile di una nuova sinistra politica, cui il merito della Fiom nella difesa dei diritti del lavoro offrisse un’occasione. L’adesione di Sel, oltre che dei partiti e gruppi “comunisti”, e di 5stelle, indica un percorso affine a quello, in verità rocambolesco, che ha portato in Grecia un’alleanza di incompatibili gruppettari (stalinisti e trozkisti compresi!) a formare, in un giro brevissimo di tempo, un partito, Syriza, capace di competere per la maggioranza. Questo percorso non si è fatto riconoscere nella manifestazione di ieri, né per il numero né per il modo della partecipazione. Attorno al nerbo dei militanti Fiom, gli altri reparti di aderenti hanno tenuto la propria fisionomia in un modo tradizionale, e cittadini e studenti non davano nell’occhio. (In piccolo, un disegno del genere era rovinato buffamente con la “Rivoluzione civica” di Ingroia).

Assente era anche la costellazione di iniziative e sensibilità che pensa sì a una casa comune nuova per la sinistra ma punta su una crescita per azioni concrete e locali, e diffida di partiti e partitini esistenti, apparati e concorrenze. Una nuova sinistra organizzata a partire dal ripudio irreversibile del Pd, è l’idea della maggior parte dei movimenti cui abbiamo accennato – col suo corollario, che l’elettorato del Pd sia l’acqua in cui gettare le reti. Se no, occorre ancora interrogarsi sul Pd. Con pochissime eccezioni personali, il Pd dei nomi noti si è tenuto alla larga dalla manifestazione di ieri, ma anche la gente del Pd non si è fatta vedere. La ferita è troppo recente, e poi a Roma c’è la campagna per il Comune: ma è probabile che amarezza e sconforto prevalgano di gran lunga sulla decisione di trasferire altrove fiducia e impegno, e forse perfino voti. I 5stelle, in particolare, hanno avuto una parte troppo vistosa nel favorire la conclusione di governo, per allettare la sinistra amareggiata. Sicché, in un tal brulicare di offerte politiche più o meno improvvisate e demagogiche, un ennesimo pretendente che prendesse la scena rivolgendosi, piuttosto che ai serbatoi elettorali tradizionali e ora mobili, all’enorme bacino astensionista, che facesse appello al voto dei non votanti, potrebbe trovare ghiotto mercato.

Il contesto è cambiato, almeno formalmente. I muezzin dell’austerità non sono più in auge. Se il governo cade presto, Letta e Alfano torneranno alle case madri (matrigne). Se dura, può darsi che si ritrovino alla fine nello stesso partito – come all’inizio. Si disse che il Pd avrebbe tenuto, all’indomani delle elezioni, un interposto congresso. Si è arrivati forse a una scissione per interposto governo. Che il governo duri o no, non si tornerà a quel Pd. E’ uno scherzo la spiegazione dei rispettivi alleati: c’era un’emergenza, siamo qui per fare le cose indispensabili, poi torneremo ad affrontarci davanti agli elettori. Non saranno più gli stessi. Il centrismo del Pd si è separato dalla sinistra, di cui era fino a un’ora prima “vice”, divenendone la guida. Enrico Letta era – sul serio – il miglior dirigente dell’Udc. C’è un governo Pdl–(U)dc col sostegno quasi unanime del Pd, esterno, salvi alcuni personaggi “prestati”. Non si tornerà, come dopo il Congresso di Vienna, allo status quo ante e alle vecchie parrucche. Si sarà confuso tutto. Compresa la separazione fra renziani e no, che era già stata confusa, giustapponendo nuovi e vecchi a destra e sinistra. In questa deriva dilazionata, una eventualità è la moltiplicazione di aspiranti ad accaparrarsi un pezzetto del giocattolo rotto. Il grosso si barcamenerà. Le ali si incontreranno qua e là, con Rodotà, con Barca, con Vendola, con Cofferati e Landini, con Civati, coi giovani di Occupy Pd renziani, bersaniani, grillini, e Veltroni e D’Alema. Nel frattempo si farà il presidenzialismo o il semipresidenzialismo, cioè la stessa cosa, in modo da assicurare a uno dei populismi in gara anche i pieni poteri presidenziali. Può andare diversamente? Speriamo, certo. Le denunce dell’inciucio, nel caso migliore acchiappano la coda della questione.

Prendete il malinteso della responsabilità: il Pd è squartato fra il compromesso scadente e il senso di responsabilità. Il senso di responsabilità ne può uccidere più che l’amore per il compromesso scadente. E’ successo con Monti. Pd e Pdl gli si consegnarono, poi il Pdl ruppe il giocattolo e la gabbia, e impostò spudoratamente tutta la sua campagna sull’attacco a Monti, l’Imu ecc.; il Pd non poté farlo, non tanto perché preferisse l’accordo con Monti – mentre si alleava con Sel – quanto perché si voleva responsabile, e perfino rispettoso del galateo: era maleducato attaccare a testa bassa, benché Monti si stesse immergendo nelle peggiori scelte personali. La lotta all’austerità, che era la cifra della sinistra, diventò quella di Berlusconi, il quale era a suo modo coerente, perché dell’austerità se ne era fregato prima per irresponsabilità (i ristoranti erano pieni) e poi ne sventolò la bandiera contro la Merkel e la speculazione finanziaria – cioè contro se stesso.

Allo stesso modo, ora nel governo introvabile il Pd si vuole responsabile, vuole il bene del paese, ha il suo vicesegretario a capo del governo, mentre Berlusconi ha il vice al posto di vice, è irresponsabile, dà ultimatum, tira la corda nell’attacco ai magistrati, difende il soldo di oggi fregandosene del bilancio di domani, monta nei sondaggi: se la corda si spezza, il Pd va col culo per terra, se resta tesa, il Pd paga il pegno e Berlusconi fa la ruota. Chissà, si può, si poteva liberarsi dal (falso) senso di responsabilità? Si poteva constatare che il governo che si voleva fare non si poteva fare, e tirarsi indietro e dire: Prego signori, fatelo voi, voi Pdl, voi 5 stelle, voi due partiti di un uomo solo, è vostra, la responsabilità? – e poi vediamo i sondaggi? E ora, una costituente della sinistra del lavoro fondato sul rispetto della salute, della dignità e dell’ambiente, si può?

venerdì 17 maggio 2013

In piazza con la Fiom per impedire che il diritto di tutti diventi il privilegio di pochi



di Don Ciotti

Caro Maurizio e cari amici della Fiom, anche se non fisicamente, il 18 maggio sappiatemi con voi con il cuore e l’impegno.
Già nel titolo, la manifestazione pronuncia la parola chiave per uscire da questo drammatico frangente: diritti.
Prima che economica, questa è infatti una crisi dei diritti, una crisi etica e culturale.
Culturale, perché ha corroso l’ideale che ha ispirato la formazione e lo sviluppo delle moderne democrazie: il riconoscimento del nostro essere diversi come persone e ugnali come cittadini.

Etica, perché ne ha affievolito – o ridotto a mera formula retorica – l’ingrediente essenziale: la responsabilità, la consapevolezza che le nostre vite si alimentano l’un l’altra in un progetto collettivo a cui tutti siamo chiamati a contribuire.
Gli effetti di questa deriva etica e culturale li tocchiamo oggi con mano, e la vostra iniziativa li denuncia tutti: aumento delle disuguaglianze, diffusione della povertà, smantellamento dei servizi sociali, riduzione drastica delle risorse necessarie a garantire la qualità della scuola e dell’assistenza sanitaria, cioè i capisaldi della democrazia. E – a rendere il quadro ancora più scoraggiante – la crescita impetuosa della disoccupazione.

In palese contrasto con l’orientamento della Costituzione, il lavoro è stato umiliato e offeso, spogliato da tutta una serie di garanzie che – ci veniva detto – impedivano di stare sul mercato e conseguire, superate alcune turbolenze, un più diffuso benessere. Che cosa è accaduto lo sappiamo: non solo le turbolenze non sono state superate, ma si sono aggravate al punto da cancellare l’occupazione o degradarla a prestazione occasionale quando non servile.
Voltare pagina significa allora certo dare all’economia una diversa direzione, a partire da quelle misure che la vostra iniziativa richiede con forza: una più equa distribuzione della ricchezza, una lotta sistematica all’evasione fiscale, un reddito di cittadinanza, una riconversione industriale nel segno delle energie pulite e rinnovabili. Ma al contempo è necessario un grande investimento educativo e culturale. La parola “crescita” non può infatti essere solo sinonimo di ripresa dei consumi e del prodotto interno lordo. Una società cresce, diventa adulta e responsabile, quando diventa capace di prevenire le sue sofferenze, quando sa includere e riconoscere, quando si libera dalla peste della corruzione e riduce le “zone grigie” tra mafie e politica, quando fa della legalità uno strumento di giustizia e non di potere, quando capisce che la prima delle ricchezze è quella che deriva dalla cura e dall’affermazione dei diritti: l’istruzione, la salute, la casa e, appunto, il lavoro.
Voi siete una delle espressioni più belle di questa società che vuole crescere, essere adulta e generosa, mettere l’interesse generale prima di quello individuale e impedire che il diritto di tutti diventi il privilegio di pochi.
Perciò bisogna dirvi grazie, perciò dobbiamo camminare insieme. Vi sono accanto con Libera e il Gruppo Abele.

venerdì 10 maggio 2013

Il Prc Assisi aderisce alla Marcia di Terre Nostre del 25 maggio



Il Partito della Rifondazione Comunista di Assisi aderisce alla piattaforma e alla marcia che si svolgerà il 25 maggio ad Assisi per “l'aria, l'acqua, la terra ed il cibo sani” organizzata da Terre Nostre ed invita i cittadini di Assisi a parteciparvi.
Le questioni poste dal coordinamento nazionale Terre Nostre che unisce tutti i comitati NO biogas e NO biomasse hanno un forte rilievo ed un indiscutibile attualità anche nella nostra regione e nella nostra città.
L’Umbria infatti rischia di diventare un albergo di centrali a biomasse che utilizzano materie prime provenienti dall’estero, dando vita ad una seria minaccia alla biodiversità e alla sovranità alimentare nei paesi di provenienza, senza contare poi il fatto che la realizzazione di dette centrali su tutto il territorio regionale, come è nelle mire di alcuni, si porrebbe come invasiva e rischiosa per l’ambiente, la salute e la qualità di vita della popolazione.
Difendere i Beni Comuni dall’assalto privatistico significa rispettare l’esito del voto referendario del giugno 2011 e oggi, ad Assisi, nella stessa città in cui la tutela del paesaggio quale bene culturale e fondamento di qualità della vita civile ed economica dovrebbe essere la priorità dall’amministrazione comunale, significa contrastare e fermare lo scempio urbanistico ed ambientale che si vorrebbe perpetrare con il PRG della giunta Ricci.
In questi giorni, inoltre, inizieremo la raccolta firme a sostegno della campagna nazionale per legge di iniziativa popolare sui “Rifiuti Zero”: facciamo appello a tutte quelle forze politiche e ai movimenti, come il Movimento 5 Stelle, che hanno come loro ragione fondate, tra le altre cose, la battaglia comune sulla raccolta differenziata e la tutela ambientale, la fattiva collaborazione per cominciare un proficuo lavoro comune su tutti quei temi concreti che possono migliorare immediatamente la vita quotidiana di tutti i cittadini.

lunedì 6 maggio 2013

Costruire l’opposizione al governo Letta-Alfano




La Direzione Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista ritiene necessario costruire la più ampia opposizione contro il governo Letta – Alfano e le sue politiche. Il governo Letta-Alfano rappresenta infatti una risposta di destra e restauratrice – sia sul piano economico e sociale che sul piano istituzionale e costituzionale - alla domanda di cambiamento emersa dalle urne. Il governo unisce infatti la prosecuzione delle politiche di austerità decise a livello europeo - che hanno già caratterizzato il governo Monti - e una scelta di manomissione della Costituzione in direzione del Presidenzialismo e del rafforzamento del potere dell’esecutivo.
Proponiamo pertanto a tutte le forze sociali, culturali e politiche, che si oppongano da sinistra al governo di unità nazionale di dar vita ad un coordinamento delle opposizioni. Un coordinamento finalizzato a contrastare l’azione di governo nel paese, puntando alla costruzione di un movimento di lotta che metta al centro l’uscita dalle politiche di austerità, il rilancio e l’allargamento della democrazia e il protagonismo degli uomini e delle donne che subiscono gli effetti della crisi e delle politiche neoliberiste.
Invitiamo quindi tutte le strutture del partito a dar vita nella giornate dell’11 e 12 maggio una mobilitazione contro il governo Letta-Alfano, le politiche europee e i trattati a partire dal Fiscal Compact, ad articolare sui territori e sui luoghi di lavoro la proposta di coordinamento unitario, dando vita a un confronto con le forze che si oppongono al governo Letta e costruendo iniziative di dibattito e di lotta finalizzate alla costruzione dell’opposizione.
La Direzione Nazionale aderisce alla proposta avanzata da Stefano Rodotà di dar vita ad una Contro Convenzione finalizzata alla difesa della Costituzione e allo sviluppo della democrazia partecipativa.
La Direzione Nazionale riconferma l’adesione alla manifestazione del 18 maggio convocata dalla Fiom e impegna tutte le strutture del partito ad organizzare assemblee preparatorie e a garantire il massimo di partecipazione.
La Direzione Nazionale ritenendo necessario festeggiare la Repubblica e la Costituzione non attraverso una parata militare, ne chiede la soppressione e invita i compagni e le compagne di Rifondazione Comunista ad organizzare per il 2 giugno iniziative di mobilitazione per il diritto alla pace, al lavoro e l’allargamento della democrazia, contro le spesa militari per il ritiro delle missioni dai teatri di guerra.
La Direzione Nazionale convoca per il 1 giugno una assemblea nazionale dei segretari di circolo.

Roma, 3/5/2013

giovedì 2 maggio 2013

Riunione comprensoriale del Prc a Bastia: moratoria sul patto di stabilità e "rifiuti zero".



Martedì 30 aprile presso la sezione del PRC di Bastia Umbra, alla presenza del segretario provinciale Enrico Flamini, si è svolta una partecipata riunione comprensoriale dei circoli di Rifondazione Comunista di Assisi, Bastia Umbra, Bettona e Torgiano per analizzare l’attuale fase politica.
Dal dibattito è emersa non tanto l’analisi del voto delle elezioni politiche, già ampiamente sviscerata dai singoli circoli nelle settimane precedenti, quanto la necessità di unire le istanze della sinistra in un polo politico di cui Rifondazione Comunista possa essere uno dei motori propulsivi per il suo portato di militanza e di progettualità.
Oltre alle tante questioni locali sulle quali si può e si deve fare squadra, dallo scellerato Piano Regolatore di Assisi fino alle varie vertenze che colpiscono le piccole e medie imprese del territorio che stanno subendo come in tutta Italia, crisi devastanti, nella discussione sono emerse utili considerazioni su come uscire dalla crisi della sinistra italiana, anche in considerazione della nascita del Doroteo governo Letta.
Le questioni sono tante e tutte dirimenti; ad esempio il patto di stabilità. I trasferimenti ai comuni, come sappiamo tutti, sono stati ridotti al lumicino e a farne le spese sono e saranno i ceti popolari, perché verranno tagliate le risorse per i servizi sociali, l’edilizia scolastica, la rete stradale e tutti quei servizi che cercano di attuare in pieno un vero stato di diritto.
Per questo motivo è emersa la proposta di lanciare una moratoria sul patto di stabilità, sotto forma di mozione da proporre ai quattro consigli comunali, che permetta lo sblocco dei fondi destinati agli ammortizzatori sociali e per la manutenzione del territorio.
Inoltre i circoli del comprensorio hanno deciso di partecipare attivamente alla raccolta firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare “Rifiuti zero” affinché le istituzioni possano elaborare una legge che permetta finalmente all’Italia di avere una efficiente regolamentazione che codifichi in modo puntuale la raccolta differenziata affinché si arrivi ad un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Infine i circoli si stanno mobilitando per la partecipazione alla manifestazione nazionale organizzata dalla Fiom per il  18 maggio a Roma sulle questioni del lavoro, una data importante perché servirà al paese per capire quanto sia necessaria l’unità di quelle forze veramente progressiste capaci di mettere in campo politiche che riportino al centro del dibattito politico i temi del lavoro e della solidarietà.