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Il Blog di Rifondazione Comunista di Assisi


giovedì 6 settembre 2012

Diciamo come stanno le cose sulle quote di genere


In data odierna si è tenuta davanti al Tar dell’Umbria (Pres. Lamberti, Cons. Cardoni, Rel. Fantini) l’udienza cautelare del ricorso proposto da alcune associazioni (Gylania, Comitato Internazione 8 Marzo, Ossigeno), alcuni cittadini elettrici ed elettori di Assisi (Francesca Vignoli, Luciana Trionfetti, Alessandra Comparozzi, Gabriella Molini, Francesca Casubaldo, Carla Bocchini, Valeria Pecetta, Simonetta Alunni, Antonella Casagrande, Paola Famoso, Luigino Ciotti) e da alcuni consiglieri comunali di opposizione (Simonetta Maccabei, Paolo Marcucci, Simone Pettirossi, Giorgio Bartolini, Emidio Ignazio Fioroni), avverso la reiterazione della giunta comunale di Assisi tutta al maschile, dopo che lo stesso Tar dell’Umbria aveva azzerato la precedente giunta, composta dagli stessi assessori.
La richiesta di sospensiva dell’atto non è stata discussa, sia perché non era questo lo scopo dei ricorrenti, trattandosi di materia che non si può definire in sede cautelare sia perché la notifica del ricorso non aveva raggiunto due assessori in tempo utile.
L’udienza è servita per stabilire una data ravvicinata per la discussione nel merito del ricorso, che è stata fissata per il 13 marzo 2013.
Attendiamo il solito comunicato stampa del sindaco in carica, che interpretando la realtà in modo del tutto soggettivo, dirà che la richiesta di sospensiva è stata respinta e che l’amministrazione ha ottenuto un primo successo.
I ricorrenti attendono serenamente l’unico pronunciamento del Tar, che sarà quello con la sentenza del marzo 2013.
Avv. Franco Matarangolo per il comitato promotore del ricorso.

4 commenti:

  1. Anonimo6/9/12

    La guerra è dichiarata. In 48 ore, e due documenti, è stata tracciata la mappa del prossimo grande confronto culturale europeo. Lunedì, Viviane Reding – commissaria per la Giustizia, i Diritti fondamentali e la Cittadinanza – ha presentato una direttiva che vuole introdurre nei 27 Paesi dell’Unione una presenza femminile obbligatoria del 40 per cento ai vertici delle società quotate e delle società pubbliche.

    Il giorno dopo, martedì, la Gran Bretagna ha lanciato la sua controffensiva con una lettera – destinata alla presidenza della Commissione e intercettata in bozza dal Financial Times – che chiama gli Stati membri alla resistenza anti quote.

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  2. Anonimo6/9/12

    Nei prossimi mesi, vedremo dunque sfidarsi – e contarsi al momento del voto – due schieramenti in quello che appare come l’ultimo decisivo atto di un’eterna discussione:

    qual è la strategia migliore per colmare (finalmente) il divario di partecipazione alla vita economica e decisionale tra uomini e donne?

    Oggi le donne rappresentano in Europa il 46 per cento della forza lavoro complessiva, hanno colmato ogni distacco in termini di istruzione (costituiscono anzi il 56 per cento degli studenti con educazione superiore), ma occupano solo il 13,7 per cento delle poltrone nei consigli delle imprese. È giusto dirsi subito che non è solo una questione di pari opportunità. È anche una riflessione su quale strada debba essere imboccata al più presto per consentire alle società europee, fiaccate da anni di crisi, di sfruttare tutti i talenti e tutte le risorse disponibili.

    Da una parte vedremo Viviane Reding – 61 anni, lussemburghese, centrista e cattolica, laureata in Scienze Umane alla Sorbona, madre di tre figli – mettersi alla testa di un movimento che considera l’introduzione di quote di genere la migliore delle soluzioni possibili. Nel testo ancora provvisorio della direttiva si legge che “la percentuale di donne presenti ai vertici aziendali è cresciuto dello 0.6 % negli ultimi anni”. Che vuol dire: senza un vincolo di legge, legato a un pacchetto di sanzioni, i sistemi non si modificano. Gli incentivi morbidi, che si limitano a premiare gli eventuali virtuosi, non hanno mai dato risultati apprezzabili. Di questo passo, ha spiegato Reding, ci vorrebbero 40 anni per raggiungere un significativo equilibrio di genere. Troppi.

    Dall’altra parte ci sono gli anglosassoni e in generale i liberali che guardano con comprensibile diffidenza a quella che è una forzatura del sistema.

    Come si può imporre per legge il sesso di chi siede in un Consiglio di amministrazione? Non è questa una violazione del principio meritocratico, secondo cui contano solo l’impegno e il valore dell’individuo, maschio o femmina che sia?

    E c’è una seconda obiezione, questa volta pratica. L’esperienza dei Paesi che hanno adottato le quote, scriveva ieri il Financial Times citando l’esemplare Norvegia, dimostrerebbe che i cambiamenti sono solo apparenti. Sono window dressing: dietro una bella vetrina, poco si modifica. Sospinte da norme favorevoli, le donne scalano sì la piramide ma vengono poi escluse dai processi decisionali che contano. Restano ai margini, con in più la beffa di vedere la propria immagine riflessa in un comodo specchietto per le allodole ad uso pubblico.

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  3. Anonimo6/9/12

    Come si può vedere, non è soltanto una guerra di percentuali. È un passaggio storico fondamentale verso la modernità – qualcuno lo ha definito un nuovo Kulturkampf per un vecchio Continente. La lettera anti direttiva Reding avrebbe raccolto segnali già da dieci Stati membri. Tra questi – oltre alla Gran Bretagna – ci sarebbero la Svezia e forse la Germania. Ma a questo punto è interessante notare come sia proprio l’esperienza italiana a dare alcune buone risposte a chi dubita dell’efficacia delle quote.

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  4. Anonimo6/9/12


    Che cosa è successo in Italia negli ultimi mesi? La legge bipartisan Golfo-Mosca, che è diventata operativa il 12 agosto, ha messo in moto un meccanismo di rinnovamento sorprendente. Dopo anni che facevano registrare un aumento della presenza femminile nei Cda al massimo dello 0.5 per cento, in poco tempo – in previsione dei vincoli e delle sanzioni – si è arrivati a superare quella che sembrava la barriera invalicabile del 10 per cento nazionale. Gruppi come Fiat, Cofide, Pirelli, Mediobanca, Luxottica (ma non quello che edita questo giornale) hanno rivisto i propri consigli e hanno dimostrato in anticipo che si può fare. Corsi di governance vengono promossi da fondazioni, associazioni, gruppi di imprese che per la prima volta riflettono su quale sia la composizione più efficace di un Consiglio di amministrazione in grado di incrociare esperienze, capacità, sensibilità, età diverse. Una sorta di “contagio virtuoso” che promette di andare oltre la questione maschi-femmine, ma che da quella è stato generato. Come rimedio (temporaneo) capace di scuotere il sistema di potere e di promuovere mutamenti in società bloccate, le quote di genere sembrano dunque una possibilità di cambiamento: in Europa come in Italia.

    Non torniamo indietro, non riavvolgiamo il nastro.

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