Ospitiamo un comunicato dei firmatari del ricorso per le quote di genere contro il Comune di Assisi:
Una cosa è certa:
ricorreremo al Consiglio di Stato. Ieri, 20 giugno, è stata
depositata la sentenza relativa al secondo ricorso sulle quote rosa
nella giunta del Comune di Assisi. Una sentenza che lascia
interdetti, dal momento che il Tar dell’Umbria ha adottato un
provvedimento in totale controtendenza con la giurisprudenza e la
legislazione più recente.
Un provvedimento che
stride fortemente, per di più, con quanto deciso recentemente dal
Tar del Lazio che, bocciando la giunta di Civitavecchia, ha messo in
guardia presidenti di regione e sindaci, sostenendo che per
rispettare la parità non basta avere una donna, ma serve almeno il
40 per cento di donne nell’esecutivo. E questo indipendentemente da
ciò che dice lo Statuto regionale o del comune. Una posizione
rafforzata ulteriormente anche dall’entrata in vigore del Dpr 251
del 30 novembre 2012, a cui va riconosciuta una portata
chiarificatrice e che ha esteso il discorso sulle quote rosa anche
alle liste elettorali e alle società partecipate dal pubblico.
Evidentemente il Tar
dell’Umbria non ha ritenuto doveroso tenere conto delle scelte in
materia di pari opportunità che si stanno ormai diffondendo a
macchia d’olio in Italia, nazione che deve recuperare un grande
ritardo in tema di parità. Ha preferito continuare a ritenere che la
politica sia un ambito destinato all’azione dei soli uomini, mentre
le donne devono continuare ad accontentarsi esclusivamente della
promozione di fumose iniziative che tendono al riequilibrio di
genere.
Sembra incredibile, ma la
sentenza del Tar dell’Umbria non considera “obbligatori”
elementari principi di matrice costituzionale e comunitaria che,
oltre a essere posti a tutela delle donne, garantiscono alle città
organi di governo che rappresentino adeguatamente la sensibilità
della cittadinanza, composta come noto da donne e uomini. Si arriva a
teorizzare che la politica non debba premiare il merito e le
capacità, ma altri imprescrutabili fattori.
Il Tar dell’Umbria, con
questa sentenza, è riuscito solamente ad avallare il grado di
arretratezza di chi, a destra come a sinistra - e nel nostro caso il
sindaco di centrodestra Claudio Ricci - ancora mette in dubbio che
una donna possa avere capacità dirigenziali e organizzative pari o
superiori a quelle di un uomo.
Poiché siamo convinti
che la battaglia per la rappresentanza di genere paritaria sia una
battaglia di democrazia che tutte le donne e tutti gli uomini delle
istituzioni devono combattere insieme, al di là di ogni appartenenza
politica, non riuscendo a far valere i nostri più elementari diritti
nella nostra regione, usciremo dunque dai confini dell’Umbria per
avere giustizia.
I firmatari del ricorso
Nessun commento:
Posta un commento