di Stefano Cristiano
Noi abbiamo compiuto diversi errori: siamo arrivati lunghi nella costruzione di un’alleanza sulla quale lavoravamo da 1 anno; abbiamo costruito liste in modo assurdo; abbiamo sottovalutato l’impatto che la scissione nell’IDV e l’inchiesta di Report, hanno avuto sull’IDV, su Di Pietro e sull’opinione pubblica; sono stati compiuti sbagli nella comunicazione e nelle priorità che nelle settimane decisive Antonio Ingroia esponeva, le rare volte che riusciva a tornare in TV; il simbolo, e potrei continuare…
La domanda però è un’altra. Di fronte alla peggiore crisi economica e sociale dal 1929; di fronte al fatto che il popolo in queste elezioni ha bocciato sonoramente il governo Monti e la sua maggioranza di fronte al fatto che in Rivoluzione Civile si fossero comunque coalizzate tutte quelle forze che con maggiore chiarezza, determinazione, in Parlamento e fuori, si erano battute contro le scelte economiche e sociali di quel governo proponendo un programma alternativo… di fronte a tutto ciò bastano i nostri errori a comprendere e giustificare un risultato così deludente? La mia risposta è NO!
Anzi dirò di più. Questo risultato è stato così imprevisto e drammatico, da diversi punti di vista, da portarmi a ritenere che, qualora avessimo preso il 4,001% per noi, certamente, sarebbe cambiato tutto: avremmo una rappresentanza parlamentare, maggiore serenità economica, entusiasmo e gratificazione per le nostre compagne e i nostri compagni, per noi, dicevo, avrebbe significato moltissimo, ma ai fini del giudizio storico e politico su queste elezioni (con Grillo al 23% anziché al 25% e noi al 4% anziché al 2%) non sarebbe, sostanzialmente, cambiato.
Che paese ci tratteggia questo risultato?
1) Un paese in ginocchio che boccia sonoramente Monti e il suo governo, basti pensare che, considerando anche le astensioni, le forze politiche che sostenevano Monti avendo l’80% in Parlamento, oggi non arrivano, tutte insieme, alla metà dei consensi (20 milioni di voti su 47 milioni di aventi diritto.
2) Un paese nel quale, e non mi si dica più che gli elettori siano migliori di chi li governi, Berlusconi ritorna in campo e 1/5 dei votanti gli da il consenso non nonostante, ma grazie a proposte quali condono tombale, rimborso personale dell’IMU, attacco forsennato alla magistratura.
3) Un paese nel quale il PD esce politicamente sconfitto e, con esso, il peggior Presidente della Repubblica della storia recente.
In questo contesto il M5S fa il pieno del malcontento contro il Governo ed i suoi sostenitori raggiungendo 8.600.000.
Come tutti voi, ho fatto campagna elettorale battendo a tappeto case e strade. Ebbene si percepiva consenso sulle ricette economiche e sociali che avanzavamo. Emblematico però l’incontro con 2 maturi signori molto probabilmente ex elettori di sinistra, i quali, dopo avermi dato ragione su tutto, mi hanno gelato concludendo sbattendomi in faccia: “sono tutti ladri, devono andare tutti a casa, la casta e i partiti sono i responsabili”.
Qui sta la vittoria di Grillo e la nostra sconfitta. Io faccio una valutazione che non so se sia patrimonio comune. Non è che il nostro popolo, i lavoratori, i pensionati o i precari non percepissero la legittimità e la bontà delle nostre proposte, il punto è che ormai per loro non rappresentano più la priorità politica. Mentre noi proponiamo il “conflitto di classe” nel senso comune del nostro popolo è invece centrale il “conflitto di casta”. Mentre noi individuiamo nei padroni e nei poteri forti le maggiori responsabilità della crisi, nel senso comune del nostro popolo le nostre responsabilità sono tutte dei partiti e dei parlamentari.
Grillo è il più coerente interprete, ed al contempo amplificatore, di questo fenomeno. Egli infatti non si schiera programmaticamente (è di sinistra sulla TAV e di destra sui migranti), socialmente (si rivolge indifferentemente a operai e padroni) e culturalmente (è indifferente a categorie quali destra-sinistra, fascismo-antifascismo), e drena tutto questo malcontento, ormai liberato appunto dalle divisioni programmatiche, sociali e culturali novecentesche, scagliandole contro la “casta”. Il M5S conquista 8.600.000 voti non in virtù delle proprie posizioni sui rifiuti (il caso di Parma è emblematico con il sindaco del M5S fa l’inceneritore e alle politiche Grillo raddoppia i voti), ma perché il profilo politico prevalente di quel movimento tende ad assestare il colpo definitivo non ai privilegi di alcuni, ma al sistema della democrazia rappresentativa; non a quei partiti che hanno sostenuto politiche sbagliate, ma a tutti i partiti come soggetti organizzati e democratici di costruzione del consenso ed elaborazione programmatica, sostituita da “cittadini” che si riconoscono in un capo senza autonomia o mediazioni (la polemica sull’articolo 67 della Costituzione è emblematico perché non mette in discussione il rapporto fra eletto e propria organizzazione ma proprio il principio democratico di una testa un voto sostituito con quello plebiscitario di una testa e 100, 200, 300 voti). Questo a mio parere fa del M5S, e non sto parlando del suo elettorato, un movimento non configgente con i poteri forti, ma omogeneo rispetto alle loro aspettative istituzionali.
Perché in Italia, a differenza che in per esempio in Grecia, la protesta non ha premiato un’organizzazione come Syriza, che pone al centro la questione sociale e non quella istituzionale?
Le ragioni sono molteplici: certo ci sono errori nostri, come ricordavo all’inizio, io credo che molto abbia influito il sindacato che, a differenza che in Grecia, ha lasciato passare le nefandezze del Governo Monti senza contribuire a creare quella connessione fra disagio, protesta e questione sociale.
Credo però, e non da oggi, che il PRC si sia cullato per anni sul dualismo Bertinotti-Cossutta, senza mai affrontare in modo serio temi generali quali le ragioni della sconfitta del movimento operaio, le ricadute nel senso comune che avrebbe avuto, a lungo termine, la supplenza della magistratura nel ricambio di classe dirigente, il berlusconismo (oltre Berlusconi), l’affermazione di un sistema bipolare, l’assunzione a valore della fine delle ideologie ecc.
Al contrario, nel corso degli anni abbiamo assecondato una sorta di culto della personalità, modalità di relazioni interne basate più sulle caste che sulla libera discussione, abbiamo addirittura accarezzato teorie reazionarie quali quella della fine del lavoro (altro che conflitto di classe). Se errori abbiamo fatto, secondo me, non vanno cercati solo negli ultimi 11 mesi, ma negli ultimi 20 anni. Noi abbiamo ancora i calcinacci del muro di Berlino sulle spalle e non ci abbiamo fatto i conti oscillando continuamente fra riesumazione e rimozione, tradendo la “rifondazione comunista”.
Non ci sono scorciatoie. O ci rimettiamo rapidamente a studiare chiamando insieme a noi soggetti sociali e politici, storici, economisti sociologi che ci aiutino a riprendere il filo del nostro discorso e a capire cosa e come è cambiata nel profondo la nostra società. O saremo capaci di questo livello di discontinuità, oppure, come dissi prima delle elezioni, è giusto scomparire in quanto inutili. Come vedete non ho volutamente parlato di simboli, soggetti politici o costituenti, non perché non siano importanti, ma perché oggi più che mai io avverto come decisivo quel livello del confronto.
Per queste ragioni io credo che un congresso subito sarebbe sbagliato 1) perché non permetterebbe l’indispensabile apertura (un congresso per sua natura è rivolto solo agli iscritti di un’organizzazione). 2) Perché inevitabilmente il centro dell’attenzione sul nodo degli assetti più che su quello dell’approfondimento e dell’elaborazione. 3) Perché finirebbe per dividere il partito secondo le faglie delle componenti piuttosto che aprire un confronto libero sia teorico che programmatico.
Io voglio essere libero di discutere, abbiamo bisogno di ragionare e studiare senza tabù, la situazione è tale che nessuna opzione può essere considerata “eretica” o peggio usata, come accaduto troppe volte nel nostro partito, per selezionare i fedeli ed epurare gli altri. Se facessimo un congresso a Giugno, su quale proposta politica discuteremmo? Il rischio sarebbe quella di rifluire nelle vecchie appartenenze. Chi metteremmo al posto di questo gruppo dirigente? Semplice, compagne e compagni indicati, sulla base delle componenti, dal gruppo dirigente uscente. E la riprova di ciò, purtroppo, l’abbiamo avuta proprio oggi a partire dalle modalità e dai criteri con i quali è stata costruita la commissione politica.
Riusciremo ad affrontare seriamente il nodo strategico della necessità e del rilancio strutturale delle ragioni dei comunisti e della sinistra di classe nel nostro paese? O tutti noi, saremo in grado di fare questo salto di qualità, oppure dichiaro sin da subito non solo la mia indisponibilità ma il mio totale disinteresse verso pratiche e riflessi autistici e autoreferenziali che porteranno inesorabilmente alla fine di questa esperienza politica.
Uno dei più grandi analisti politici esistenti, Altan, ha riassunto in modo geniale quello che oggi è il mio stato d’animo: “Sono combattuto fra la testardaggine della volontà e la malinconia della ragione”. Nei prossimi giorni capirò se valga la pena di forzare testardamente la mia volontà, o farmi cullare, una volta per tutte, dalla malinconia di ciò che poteva essere e, purtroppo, non è stato.
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